Melillo e le macerie lasciate in Procura: dal bavaglio alla stampa alle inchieste flop ‘grazie’ alle intercettazioni

Chissà quale frase di Mafalda userebbe il procuratore Giovanni Melillo per definire la sua esperienza napoletana. A sfogliare il lungo elenco di vignette della piccola protagonista di fumetti nata dalla fantasia dell’argentino Joaquìn Lavado, in arte Quino, di frasi ce ne sono tante. Tutte con un’ironia un po’ cinica, a tratti dissacrante, che pare piacere molto al procuratore ora eletto come nuovo capo della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo. Giovanni Melillo, infatti, lascia la Procura di Napoli per dirigere l’ufficio nazionale della lotta alla criminalità organizzata. A metà mattinata, ieri, la notizia è rimbalzata dall’aula del plenum del Consiglio superiore della magistratura. Per tanti non è stata una sorpresa.

Melillo era dato in pole, chi lo conosce dice che non si sarebbe mai candidato se non avesse avuto chance di farcela. Quando si liberò il posto per dirigere la Procura di Milano Melillo ci provò, si candidò ma quando fu certo di non farcela fece un passo indietro. Poi arrivò la nomina alla Procura partenopea, il più grande ufficio inquirente d’Italia. Melillo lo ha diretto dal 2 agosto 2017 ad oggi. Anni attraversati da inchieste, polemiche, cambiamenti dettati anche da alcune contingenze. La pandemia, per esempio. Chi ha vissuto gli anni dell’era Melillo non può non aver notato il rigore e il tratto istituzionale che il procuratore ha dato all’organizzazione dell’ufficio, privilegiando l’innovazione tecnologica e la divisione dei sostituti in gruppi di lavoro sulla scia delle competenze e delle specializzazioni. L’obiettivo sembrava quello di rendere l’ufficio una macchina perfetta. Sembrava.

In questi anni la Procura ha abbassato i toni, ridimensionato l’impatto mediatico delle sue inchieste almeno sul piano formale. Melillo è il procuratore che ha sostituito le conferenze stampa nella sala all’ottavo piano del Palazzo al Centro direzionale con “colloqui informali”, nessuna intervista da rilasciare, nessuna dichiarazione da virgolettare sui giornali. Un profilo poco mediatico, ma capace comunque di incidere sui rapporti con la stampa. Melillo ha consentito l’accesso dei giornalisti agli atti previa richiesta formale al procuratore, quindi a lui, e dietro pagamento dei diritti. Una scelta presentata come un’operazione di garantismo, di trasparenza. Ma che non ha mancato di creare polemiche, cortocircuiti e distorsioni in più di un’occasione. I giornalisti, soprattutto i cronisti di nera, si sono ritrovati con molti canali di informazione chiusi, sbarrati. «Disposizione della Procura», «La Procura non autorizza» si sentivano rispondere. Bocche cucite su alcuni fatti e non su altri. E a deciderlo era il monarca del palazzo. I giornalisti se ne sono lamentati spesso.

Una prima volta chiesero e ottennero un incontro con il procuratore, c’era anche il presidente dei giornalisti campani e rappresentanti di fotoreporter, videomaker e operatori tv perché ai colloqui informali con il procuratore si accedeva senza telecamere e senza microfoni. Melillo fu cortese ma inamovibile, come nel suo stile. Negli anni la situazione è andata avanti tra altri e bassi, mesi fa un altro caso per via di arresti eccellenti comunicati dopo venti giorni e silenzi stampa su omicidi e cadaveri trovati in strada. E poi investigatori terrorizzati per fughe di notizie che li avrebbero portati sotto inchiesta. Il tutto in nome della presunzione di innocenza che però veniva poi ignorata da alcuni sostituiti, calpestata quando si dava risalto mediatico a inchieste o addirittura a semplici attività di perquisizione. In questi anni la Procura di Napoli ha intercettato migliaia di persone, eseguito arresti, avviato inchieste che non sono sempre state confermate da sentenza di condanna.

Il distretto di Napoli resta purtroppo uno dei distretti giudiziari con tante lungaggini e alti numeri di ingiuste detenzioni ed errori giudiziari. Una piaga della giustizia tutta, a Napoli come altrove. Ma comunque un nodo da sciogliere perché si possa finalmente parlare di giustizia giusta. Nell’immediato la guida della Procura partenopea sarà affidata al procuratore vicario Rosa Volpe. Poi si apriranno le candidature per il dopo Melillo. Gira voce che possa candidarsi Nicola Gratteri, il procuratore uscito sconfitto da quest’ultima corsa alla Procura nazionale. Si vedrà. La speranza in ogni caso è che si vada finalmente nella direzione di un approccio veramente laico rispetto al potere giudiziario che i magistrati esercitano, in particolare i sostituti della Procura. Solo allora si potrebbe davvero di un nuovo corso.