Mezzojuso, il padre delle sorelle Napoli fu calunniato dalla polizia: ecco le prove

«Trovo strano, se non addirittura inquietante, la circolazione di “veline” di polizia, mentre non sono stati diffusi gli atti giudiziari che attestano l’insussistenza di pericolosità sociale di Salvatore Napoli, padre delle mie assistite Irene, Marianna e Gioacchina Napoli. E che lo stesso sia stato scagionato dalle accuse infamanti solo dopo un processo che vide condannato per calunnia l’autore delle lettere anonime che lo infangavano». Così l’avvocato Giorgio Bisagna difende la memoria del padre delle tre sorelle Napoli vittime, a Mezzojuso, di danneggiamenti – dietro i quali ci sarebbe la mano della mafia – alla recinzione dei loro campi con conseguenti invasioni da parte di bovini che ne hanno danneggiato le colture.

Una storia finita sotto i riflettori dei media con la trasmissione su La 7 di Massimo Giletti Non è l’arena che in diretta televisiva, sollecitò l’allora ministro degli Interni Matteo Salvini a sciogliere il comune per mafia. Cosa che avvenne esattamente un anno fa nonostante né l’ex sindaco, Salvatore Giardina, né i membri della sua giunta siano mai stati inquisiti per fatti di mafia. E siano incensurati. Secondo la prefettura di Palermo, uno degli elementi centrali che avrebbero portato al provvedimento, sarebbe stato la partecipazione di Giardina alle esequie del boss don Cola La Barbera il 29 ottobre 2004.

Ma i legali dell’ex sindaco, Antonio Di Lorenzo e Filippo Liberto, hanno presentato diverse cartelle cliniche del centro di fisioterapia gestito da Giardina a Villafrati. Documenti firmati proprio dall’ex primo cittadino in un orario compreso tra le 15 e le 19 del 29 ottobre 2004, mentre si svolgevano le esequie. A cui avrebbero partecipato, secondo molte fonti del paese, circa mille persone. Due settimane fa, invece, durante la trasmissione di Giletti, un testimone anonimo ha raccontato di aver visto “con i suoi occhi, nel primo pomeriggio” Giardina al funerale di La Barbera. E di non potersi sbagliare perché “c’erano circa 20 persone”.

La presenza di Giardina sarebbe confermata da una relazione “corposa e dettagliata” dei carabinieri della compagnia di Misilmeri, trasmessa poi alla procura di Termini Imerese. Ma di questo documento, al momento, non c’è traccia. Abbiamo fatto richiesta al comando dei carabinieri ma l’esito è stato negativo. Richiesta inoltrata, circa dieci giorni fa, anche alla prefettura. Siamo ancora in attesa di risposta. Gli avvocati di Giardina aspettavano di leggerla negli atti processuali, ma non è mai stata presentata. Sul caso delle tre sorelle l’amministrazione, inoltre, è stata accusata di un comportamento passivo e dunque di aver favorito un clima d’isolamento.

Intanto la macchina mediatica, messa in moto da Giletti, aveva sbattuto il mostro su La 7 in un processo in diretta tv. Ad esacerbare un clima già avvelenato sono state le notizie riguardanti il padre delle sorelle Napoli, Salvatore “Totò” Napoli ex sindaco del paese. In particolare la sua presunta mafiosità, affibbiatagli a suon di calunnie, come accertato dalla magistratura, dai suoi avversari politici. Incartamenti che abbiamo potuto leggere solo pochi giorni fa. Il 30 maggio 1968, Napoli – già oggetto di diffida nel 1963 – venne proposto, sulla base di una serie di lettere anonime, dal questore di Palermo Zamparelli per l’emissione di un provvedimento di sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno in un comune fuori dalla Sicilia in quanto «ha finito con l’aggiudicarsi il ruolo di capo della malavita organizzata del luogo e che è riuscito ad eludere ogni investigazione perché protetto».

La polizia gli attribuisce un omicidio e un tentato omicidio, danneggiamenti e atti incendiari. Ma «su tali fatti non è stato possibile raccogliere quelle prove necessarie per denunciarlo, pur nella consapevolezza della sua responsabilità», scrive la questura. Il tribunale due mesi dopo rigetta la proposta di Zamparelli «in quanto le proposizioni del rapporto erano apparse generiche e che le accuse anonime mosse contro di lui, provenissero dai suoi avversari politici per frustrarne il suo operato». Giudizio confermato anche dalla Corte d’appello di Palermo nel 1969: «È molto verosimile che lo scopo sia stato quello di eliminarlo politicamente e che contro di lui sia stata ordita un’ignobile macchinazione».

Nel 1971 Napoli viene iscritto nello schedario delle persone indiziate di appartenere alla mafia. L’autore dell’esposto anonimo contro Napoli inviato alla questura è stato poi identificato in Francesco Paolo Bonanno condannato per calunnia nel 1974. «La cultura del sospetto va combattuta. Sono i fatti e gli atti giudiziari che devono avere rilevanza», dice Bisagna. Al netto di tutto ciò – che era doveroso ricordare – restano in piedi i tanti dubbi sullo scioglimento di Mezzojuso durante l’amministrazione Giardina quando di mafia, in realtà, in quel palazzo non sembra esserci stata traccia.