Non me lo sogno neppure per un nano secondo di invocare censure di sorta, nei confronti di quanto pensa, dice e scrive Luca Casarini su quello che accade in queste ore in Ucraina, e in generale; di “martiri” del pensiero ce ne sono già troppi, non è davvero il caso di creare altri casi alla Alessandro Orsini (che mai ha avuto la possibilità di dire la sua, da quando, improvvidamente, gli è stato rescisso il contratto da parte dei responsabili di Rai 3, e del Messaggero). Però ogni limite ha una pazienza, per rubare l’espressione a Totò e stemperare un po’ l’incavolatura nel leggere varie amenità casariniane (“Siete sicuri che l’antimilitarismo sia una colpa?”, Il Riformista 30 marzo).
Non entro nel merito dell’interrogativo posto dal titolo, e neppure discuto le considerazioni dell’articolo, che pure… Il passaggio “limite” che supera la mia pazienza è quando Casarini racconta dei suoi presunti trascorsi antimilitaristi: “…il militare non l’ho fatto, quando ancora la leva era obbligatoria…perché mi feci passare per matto. Quelli come me che avevano già reati politici e militavano in organizzazioni della sinistra extraparlamentare, se facevano domanda di obiezione li spedivano in caserma punitiva”. Allora: Wikipedia informa che Casarini è del 1967. Aveva dunque cinque anni quando il Parlamento vara la legge sull’obiezione di coscienza, conquistata grazie all’impegno del Partito Radicale (Marco Pannella, Roberto Cicciomessere, Alberto Gardin, e tanti altri). Dal 1972 si poteva dire NO al servizio militare, e svolgere il servizio civile; la pena aggiuntiva, per chi faceva questa scelta, erano sei mesi in più di “servizio”. Non si finiva più in galera.
Di certo non ci sono finito io, che l’obiezione di coscienza l’ho fatta a suo tempo, e avevo, posso garantirlo, i miei bravi “carichi” politici sulle spalle. Non solo: a un certo punto, con altri cinque compagni radicali, stanchi di attendere da quasi un anno che si venisse destinati al servizio civile (che doveva indicare il ministero della Difesa), scrivemmo una bella lettera “aperta” nella quale si comunicava che l’attesa stessa si era protratta per troppo tempo, e ben oltre i mesi che avremmo dovuto svolgere nel servizio sostitutivo; per quella ragione ci rendevamo indisponibili a qualsivoglia servizio, la nostra diventava “obiezione di coscienza integrale”; si esigeva per questo motivo il foglio di congedo, oppure ci mandassero pure in carcere.
Al ministero della Difesa (all’epoca il ministro era Lelio Lagorio), per non avere grane che certamente da radicali avremmo procurato, scelsero la strada “dolce”: ci inviarono il congedo. Tutto alla luce del sole, da nonviolenti, senza necessità di fingerci matti o depressi. Ove non fosse chiaro, la differenza nei metodi e nella “filosofia” è tutta qui: nell’accettare le regole di un gioco anche quando non è il nostro, e nel pretendere che quelle regole siano applicate, o se non funzionano perché superate, le si cambino. senza fingere o ricorrere a trucchi da film alla “Pierino”. In effetti, poi, dopo qualche tempo, la leva non è più stata obbligatoria.
