Milano ostaggio di giustizialisti e teoremi, l’avviso di garanzia diventa imputazione, la richiesta di arresto sinonimo di sentenza

Nei laboratori a volte capita che, mentre si sperimentano affascinanti alchimie con la convinzione di risultati rivoluzionari, la provetta esploda e scatti l’emergenza. Il laboratorio è Milano, dove si maneggiano componenti che, messi a contatto, si sa che potrebbero essere esplosivi; ma se l’esperimento riesce, tutto il resto è passato. Laboratorio politico, innanzitutto, dove si prova l’ardita alchimia di una sinistra al governo della città, mescolata con i progetti metropolitani d’avanguardia della rigenerazione urbana e la familiarità culturale con una magistratura che oggi sembra giocare contro.

La provetta è esplosa, l’allarme risuona e ci sono ovunque brandelli di politica. Alla notizia della Procura che chiede l’arresto dell’assessore alla Rigenerazione urbana Tancredi, fortemente voluto dal sindaco Sala e da metà dell’ambiente milanese dell’edilizia, si può rispondere con la solita formula “abbiamo piena fiducia nella magistratura, se ci sono responsabilità, vanno accertate”? Come ci si può districare tra garantismo e responsabilità su un’inchiesta che a questo punto mette in dubbio le fondamenta di tutta la visione di governo di Milano? Quale può essere la risposta politica a un teorema accusatorio che parla di corruzione, e di esistenza di un “piano ombra di governo del territorio”?

Minuto dopo minuto, nel passaparola dell’opinione pubblica, gli avvisi di garanzia prendono la forma di imputazioni e le richieste di arresti – anche pure domiciliari – diventano sinonimo di sentenza. A tutto va data una risposta. Il problema è che i primi a farlo sono pezzi dello stesso centrosinistra allargato: il Movimento 5 Stelle ha dichiarato senza troppi giri di parole che l’Amministrazione deve considerarsi arrivata al capolinea. Fisiologica la convergenza con Fratelli d’Italia e Lega, che non perdono l’occasione di chiedere le dimissioni di Sala. Ora la scelta è tra affrontare gli eventi a muso duro e rivendicare una visione della città, sfidando inchieste e attacchi politici, lasciare dichiarando che non vi sono più i presupposti per proseguire nel progetto, o ancora cercare una via d’uscita, congelando i temi più critici, isolandoli con un cordone sanitario, prendendo tempo.

C’è, deve esserci, sullo sfondo di qualsiasi decisione, la consapevolezza che Milano non si può permettere di rimanere ostaggio di sospetti e teoremi, così come di politiche zoppe. Mesi fa, durante un indimenticato, soffertissimo Consiglio comunale nel quale l’assessore alla Casa Bardelli rassegnò le dimissioni, Sala annunciò che non si poteva più andare avanti sul Salva Milano, perché “non vi erano più le condizioni”. Ecco, qualunque strada si scelga, si abbia ben presente che è la politica – e solo quella – che deve e può creare le condizioni.