Duemila anni fa o giù di lì, Giovenale chiedeva «Quis custodiet ipsos custodes?», ovvero chi garantiva che i sorveglianti fossero essi stessi onesti. Non era una domanda inedita, perché se l’era già posta Platone. Ma, dice il proverbio, non c’è nulla di più inedito della carta stampata. Per capirlo, basta ricondurre la parola custos al suo senso etimologico di “guardia” o “protettore”. Ed ecco che, magicamente, la battuta cambia significato e diventa di stringente attualità. Sì, perché il problema di “chi protegge quelli che ci proteggono” è una questione importante per i militari che proteggono l’Italia in operazioni fuori dai confini nazionali: oggi circa 8mila persone, con un massimo autorizzato di 12mila. Cifre che triplicano se si calcola il normale avvicendamento. Insomma, in cinque anni, tutti i membri delle forze armate.

Da cosa vanno protetti i militari

Ma, esattamente, da cosa vanno protetti i protettori? Per dirla brutalmente, dalla responsabilità civile durante le missioni reali. Per uno di quei casi che in Italia capitano più spesso che altrove, il combinato disposto di due norme lascia i militari – in particolare, quelli con incarichi di comando – con il cerino in mano. Da un lato c’è la riluttanza a chiamare le cose con il loro nome, dall’altro una “svista” nel passaggio dal codice Rocco al Vassalli.

Responsabilità penale e civile

Poiché le operazioni all’estero non sono di guerra (al Massimo, «difesa aerea integrata», come disse D’Alema per il Kosovo), non si applica il codice penale militare di guerra ma quello di pace. Così il comandante diventa datore di lavoro e le pallottole nemiche un pavimento bagnato, e le ferite – o la morte – non sono causate dal nemico ma dalla disattenzione. Qualora il comandante-padrone chiamato a risponderne dovesse uscirne indenne in sede penale, scatta la responsabilità civile. Perché, appunto, nel passaggio dal vecchio al nuovo codice è saltata la riga che imponeva al giudice civile di partire dal giudicato penale. Ed ecco che l’innocente penale diventa responsabile civile. È successo per Ustica, dove l’assoluta mancanza di colpevoli penali non ha impedito di trovare una responsabilità dello Stato. È successo per Nassiriya, dove il Generale Bruno Stano è stato prosciolto in sede penale e condannato in sede civile.

L’eccezione di alcune categorie

Si dirà: è così per tutti i dipendenti pubblici con funzioni delicate. Però no. Quando fu introdotta la responsabilità civile dei magistrati, si stabilì che il cittadino facesse causa allo Stato, al quale sarebbe spettato risarcirlo e poi, eventualmente, recuperare l’importo agendo contro il magistrato. I membri dei servizi informativi godono di “garanzie funzionali” che li tutelano da eventuali illeciti penali. Per i militari, nulla del genere. Se un blindato finisce sotto il tiro nemico, la colpa non è del talebano di turno (o del ministro o del presidente del Consiglio), ma del colonnello. Il quale notoriamente era in teatro per divertimento, e quindi è giusto che paghi di persona. Eppure basterebbe poco: dichiarare le operazioni per quello che sono, senza ipocrisie. È chiedere troppo? Come diceva Giovenale? Ah sì, “chi proteggerà i protettori?”.

Gregory Alegi

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