No alla riforma della Costituzione femminista e ambientalista: il Cile preferisce la carta del dittatore Pinochet

È una sonora bocciatura la vittoria del “No” al referendum di domenica scorsa per cambiare la Costituzione cilena. Oltre il 62% dei voti si è espresso per il “rechazo”, il rifiuto alla riforma scritta da un’Assemblea Costituente eletta dopo le enormi proteste iniziate nel 2019, esplose a causa della legge che aumentava il prezzo dei biglietti della metropolitana a Santiago, e continuate nei mesi successivi. Resterà in vigore la Costituzione approvata nell’agosto del 1980 durante la dittatura militare di Augusto Pinochet e riformata varie volte dopo il ritorno alla democrazia nel 1990.

Ad appoggiare la riforma il presidente Gabriel Boric, eletto lo scorso marzo, il più progressista e di sinistra dai tempi di Salvador Allende, il presidente che morì durante il colpo di stato di Pinochet nel settembre del 1973. La riforma della Costituzione è nata dalle proteste esplose tre anni fa, per carovita e corruzione, alimentate da movimenti studenteschi e femministi per arrivare a coinvolgere una larga fetta di popolazione. Si contarono 17 morti, centinaia di feriti e migliaia di arrestati. Il governo del conservatore Sebastián Piñeda si convinse così a dare il via libera al processo di riforma costituzionale.

I sondaggi avevano però previsto da mesi la vittoria del fronte del “no”. Il fronte dell’“apruebo” ha accusato la diffusione di fake news e disinformazione da parte delle destre: come l’abolizione della proprietà privata e il via libera all’aborto fino al nono mese di gravidanza. Dopo l’annuncio dei risultati centinaia di persone si sono radunate in Plaza Baquedano a Santiago, la capitale del Paese, e hanno celebrato i risultati.

Lo scrutinio di ieri è stato il terzo in due anni: i cileni avevano già votato in un referendum a favore di una nuova Costituzione e scelto i rappresentanti per riscriverla. La Costituente eletta il 4 luglio 2021 era composta da 155 persone, metà delle quali donne. A guidare la Convenzione una professoressa di origine mapuche, Elisa Loncón. Il progetto di stesura è durato un anno, il testo era lungo 178 pagine e composto da 388 articoli e 54 norme transitorie. Il testo è stato consegnato lo scorso 4 luglio. All’articolo 1 definiva il Cile uno “Stato sociale e democratico di diritto”, una democrazia “paritaria”, “plurinazionale”, “interculturale” ed “ecologista”.

Il testo riconosceva il Cile come uno stato composto da più nazioni. La novità più sostanziale era il riconoscimento dei popoli indigeni, che costituiscono il 13% dei circa 18 milioni di cileni, e la loro sovranità. Di questi non c’è traccia nella Costituzione dei tempi di Pinochet. Da tempo, nel sud del Paese, si verificano violenti scontri tra i Mapuche, il gruppo indigeno più numeroso, e i proprietari terrieri.

La nuova carta sanciva il diritto all’acqua pubblica e il diritto della natura a essere protetta e rispettata. La Costituzione era stata definita anche femminista in quanto sanciva la parità di genere nelle istituzioni pubbliche e private, il lavoro di cura, il diritto all’aborto e l’abolizione della disparità salariale. Dettaglio peculiare: per 15 milioni di cileni, che hanno compiuto 18 anni e con il domicilio elettorale in Cile, votare era obbligatorio. Chi non sarebbe andato se non per validi motivi convalidati da un giudice rischiava una multa.

Il presidente Boric ha commentato il risultato in un messaggio trasmesso in televisione: “Oggi il popolo cileno ha parlato e lo ha fatto ad alta voce e chiaramente. Ci ha dato due messaggi. Il primo è che amano e apprezzano la loro democrazia. Il secondo è che il popolo cileno non era soddisfatto della Costituzione proposta e, quindi, ha deciso di respingerla in modo netto”. Il presidente ha convocato tutti i leader di partito al Palazzo della Moneda per “creare uno spazio di dialogo trasversale”. Secondo Boric la Costituzione dovrà essere riscritta per rispettare la volontà del 78% dei cileni che nel 2020 votarono per cambiare la carta.