Non ci sono guerre giuste ma guerra necessarie: ma occorre darsi dei limiti

Non credo nella “guerra giusta” (sarebbe come dire uno “stupro giusto”). Esistono però guerre necessarie, assumendo la guerra come dolorosa, responsabile, umile ricerca del male minore (lo dichiaro subito perché questo giornale è attualmente l’unica “agorà” dove trovo tesi opposte formulate in modi civili). Vi sembra un ingegnoso sofisma? Eppure bisogna riconoscere che ogni azione che si svolga nella complessità della vita e delle relazioni umane “rientra inevitabilmente nell’ambito del male minore” (Stefano Levi Della Torre).

Il male infatti non si può espungere dalla Storia – dove, al contrario, non si può che far torto o subirlo – , né dalla stessa natura umana, come sanno bene i teologi quando parlano del peccato originale. Di solito chi pensava, magari in buona fede, di realizzare il Bene ha commesso crimini spaventosi per farsi tornare i conti e per raddrizzare il legno storto dell’umanità. E anzi in nome della futura Città del Bene – di uno scopo cioè così alto, di una utopia luminosa e definitiva – si è sentito moralmente legittimato a compiere quei crimini e a passare qualsiasi misura. È dunque fondamentale sapere che chi si trova nella necessità storica di combattere il male, come i partigiani nella guerra di Resistenza, non presuma di incarnare il Bene (piuttosto è come tutti impastato di bene e di male). Ciò serve a dare alla propria lotta una misura, un limite.
Altra cosa è la nobile scelta di non resistenza al male, che però vale come scelta morale, a livello strettamente individuale, come testimonianza cioè di un’altra “realtà” dentro di sé (perfino estranea all’ordine naturale, materiale), come volontà di separarsi nettamente dal malvagio e di preservare una certa integrità.

Senza però alcuna pretesa di efficacia, di incidenza anche minima sul piano concreto della Storia (anche se qualche volta vi ha inciso, contrariamente a quanto si pensi), come ha bene spiegato Nicola Chiaromonte ragionando sulla non-violenza di Tolstoj e sulla dichiarata incapacità di odio di Antigone. Si tratta di un esempio altissimo di umanità, capace a volte (solo a volte) di contagiare l’oppressore, che però non si può prescrivere né pretendere da nessuno. Martin Buber nel 1938 rispose infatti all’invito di Gandhi alla non-violenza rivendicando – pure lui che era filosofo del dialogo – il diritto del debole a difendersi dalla violenza con la violenza. Per questa ragione sono personalmente favorevole all’invio di armi e al sostegno concreto alla resistenza ucraina come manifestazione di incondizionata solidarietà a chi è stato aggredito. Dunque non posso che concordare con l’articolo di Marino Sinibaldi sul Post.

Ne riassumo il passaggio fondamentale : «La realtà è che a questo punto solo la resistenza ucraina può salvare le ragioni della pace e per questo merita tutti gli aiuti possibili», e ancora «Alla resistenza ucraina in queste ore è affidata la possibilità di dimostrare che la guerra è uno strumento inaccettabile, inadatto al nostro mondo e perfino inefficace». Credo tuttavia che questo ragionamento, di cui – ripeto – condivido l’ispirazione generale, contenga un rischio diciamo così “storicista”. Mi sembra in ogni caso pericoloso estrarre dalla Storia dei teoremi morali. Perché? Perché nella Storia esiste solo la realtà del fatto compiuto, di tutto ciò che si impone – casualmente – con la forza. Di più: la Storia ha leggi imperscrutabili ( e anzi per noi spesso ingiuste), contiene una misteriosa necessità che la ragione umana può governare solo in minima parte, e “rivela il fondo oscuro delle cose” (Chiaromonte).

La sorprendente resistenza ucraina, in parte “vincente” sul terreno (almeno relativamente parlando, e considerando la enorme sproporzione di forze), può certo scoraggiare qualsiasi aggressione futura, però in essa vi è anche qualcosa di casuale, di imponderabile. Se per caso non ci fosse stata non perciò l’invasione sarebbe stata meno condannabile. Se l’Ucraina avesse ceduto subito, come molti profetizzavano, non avrebbe perciò avrebbe reso vere le farneticazioni panslaviste di Putin, le quali restano in ogni caso false. Il tragico epilogo della rivolta del ghetto di Varsavia, che pure diede del filo da torcere agli invasori, non dimostra che il nazismo fosse nel giusto. Altrimenti la conseguenza involontaria del ragionamento sarebbe: ha ragione solo chi vince.