Un mese di guerra. Migliaia di morti. Milioni di profughi. Città distrutte. Analisti militari e strateghi da pianerottolo che, per rassicurare una pubblica opinione attonita e allo sbando, lanciano il mantra secondo cui Putin starebbe utilizzando armi sempre più letali sol perché, badate bene, si troverebbe in grave difficoltà. Senza che a nessuno venga in mente di obiettare che qualunque assassino preferisce strangolare la vittima in silenzio, senza clamore e che solo quando resiste la massacra a coltellate o a colpi di pistola. L’autocrate russo sperava in una morte silenziosa del governo ucraino e aveva mandato al fronte mezzi obsoleti e soldati di leva pensando che bastassero allo scopo. Man mano che la resistenza ucraina ha accresciuto il proprio impeto si è deciso di sfoderare il top dell’arsenale e lo stanno puntando alla tempia di un popolo.

Dire che questo sia il segno di una debolezza è ai limiti della colpevole disinformazione; Putin ha sbagliato i calcoli e per rimediare farà una strage; ecco, questo ci avvicina alla realtà con minore approssimazione e sicuramente meglio di qualunque enfatica esaltazione del grande coraggio, degli altri per giustificare quel che stiamo facendo nel cosiddetto mondo libero. È una propaganda militarista, quella occidentale, che nuoce ancor di più al popolo ucraino: più il Cremlino vede messa in discussione la forza del proprio esercito e sbeffeggiati i propri soldati, tanto più reagisce con ferocia distruttiva per ristabilire agli occhi del mondo il proprio cupo prestigio. È una gigantesca arena in cui – al sicuro sugli spalti – gli spettatori incitano il più debole e minuto dei gladiatori a tirare qualche fendente al leone che è comunque pronto a sbranarlo. Assistiamo a una carneficina comodamente seduti nei nostri salotti, facciamo il tifo per questo o per quello, poi spegniamo la tv, riponiamo i giornali e tutto prosegue sino alle venationes del giorno successivo, quando altri uomini e altre bestie si scontreranno all’ultimo sangue.

La simpatia, l’empatia, la vicinanza al popolo ucraino non si possono misurare inviando armi perché la lotta prosegua, perché abbiamo interesse che prosegua. «Ma lo hanno chiesto loro, sono loro che vogliono difendersi» è l’ultima linea del fronte interventista con cui bisogna far di conto. Il popolo ucraino ha tutto il diritto di difendersi, ha tutto il diritto di opporsi all’invasione; quale vittima dell’arena non avrebbe chiesto una spada, un pugnale, uno scudo per tentare nella disperazione di salvarsi la vita. L’Occidente, invece che far di tutto per tirar fuori la gente innocente di Ucraina dall’arena di sangue in cui è finita, entusiasticamente pensa di inviare armi che non serviranno a vincere e che, al più, stanno ferendo la fiera, sempre più incattivita dal dolore. Siamo tutti d’accordo sul male, è sulla medicina che non c’è intesa alcuna. Non è sostituendo il coltello con una spada che l’uomo ucciderà la belva e avrà salva la vita.

Il dibattito in Italia, e non solo, si è polarizzato sulla questione dell’invio delle armi ai resistenti e non a caso. Non vogliamo saperne di guerre che minaccerebbero davvero il nostro habitat civilizzato, non vogliamo saperne di aumenti del carburante, guai se solo accennano ad abbassare la temperatura dei termosifoni, non ne parliamo se dovessero razionare grano, mais e altre materie prime. Ma che vogliamo scherzare? Molti tra noi sono solo un pigro popolo da stadio, da campionati del mondo, da Sanremo, da wrestling per finta, da videogiochi alla Playstation. Guardiamo da lontano, ci piace fare il tifo, prendere le parti a distanza però, solidarizzare con il portafoglio in mano, commuoverci ogni tanto, marciare se c’è bel tempo, essere empatici con i deboli senza mai abbracciarli, adorare il Mel Gibson in Braveheart o il Tom Hanks in Salvate il soldato Ryan. In fondo siamo solo l’homo videns di cui parlava Giovanni Sartori.

L’uomo cinico e satollo, pronto a distrarsi, disponibile a intraprendere un’altra intrepida battaglia a colpi di telecomando, insofferente verso i barconi pieni di neri che affogano, distratto verso i mendicanti per strada, cieco per lo sfruttamento dei raiders che ci sfamano nella nostra indolenza. E in questo acquitrino c’è chi pensa di poter profittare per risolvere partite d’interesse enormi cavalcando emozioni, manipolando l’odio (come ha splendidamente scritto Domenico Quirico su La Stampa), al punto da essere disponibili ad aiutare un popolo fino all’annientamento in nome di una libertà di cui non conosciamo più la prima declinazione che è la vita. Non saremo a caso a parlare di eutanasia nel paese con la più alta decrescita demografica al mondo: it’s not dark yet but it’s gettin’ there (“non è ancora buio, ma sta arrivando”) cantava un premio Nobel.