Il Corriere ha provato ad arruolare il Papa, a mettergli l’elmetto, ma il Papa è decisamente già “arruolato” nell’esercito della pace. La fantasiosa ricostruzione di un Francesco bellicista proposta dal quotidiano di via Solferino, per quanto sia fantasiosa, è decisamente priva di fondamento. Certo la situazione è inedita per l’Europa, con la guerra in corso, in cui è molto chiaro che c’è un aggressore e un aggredito. È chiaro alla diplomazia vaticana (ma non solo…) che con il cardinale Parolin il 18 marzo si è spinta avanti, offrendo una disponibilità in prima persona a mediare tra le parti.

Nelle ultime settimane è papa Francesco il capofila avanzato di un no alla guerra senza eccezione e senza eccezioni, su cui torna in tutti i modi, in tutte le udienze in cui può inserire il tema del conflitto. È una linea che non ha punti di debolezza. Per il resto la diplomazia della Santa Sede rispetta una seconda regola ferrea: il Papa quando chiama, dialoga, telefona (nei colloqui con gli ambasciatori russo e ucraino, in quelli con il presidente Zelensky), non fa divulgare il contenuto della conversazione. Sono gli interlocutori, semmai, a cercare di tirare dalla loro parte papa Francesco, perché a tutti fanno gola le “divisioni” del Papa (come le chiamava Stalin), vale a dire far vedere che hanno l’appoggio morale del pontefice. Appoggio morale che ogni governante vorrebbe incassare per farlo risaltare come appoggio politico. Ma papa Francesco lo sa e infatti tace. Ha lasciato al presidente Zelensky dare per primo a Camera e Senato, martedì 22, la notizia dell’ennesima telefonata. La Santa Sede ha confermato solo in seguito. Ma niente indiscrezioni sui contenuti.

Del resto, oltre agli Angelus, alle udienze generali (come ieri), ai discorsi, cosa dovrebbe dire di più Papa Francesco? Ieri ad esempio: «Lo Spirito del Signore ci liberi tutti da questo bisogno di auto-distruzione, che si manifesta facendo la guerra. Preghiamo anche perché i governanti capiscano che comprare armi e fare armi non è la soluzione del problema». Ed oggi ci sarà l’atto solenne di consacrazione della Russia e del mondo a Maria. Evento religioso dal trasparentissimo significato socio-politico. Che dire di più? Lasciamo al Papa il suo mestiere: indicare la via del dialogo e della pace e fare un’azione decisa di pungolo etico e morale verso il resto del mondo (politici compresi, anzi soprattutto i politici). Altro non gli si deve chiedere. Certamente il conflitto in corso avrà degli effetti sul piano dei rapporti ecumenici tra cattolici e mondo ortodosso. Ma solo in un secondo momento si capirà come riannodare il filo del dialogo.

Per il momento è urgente far terminare il conflitto. Poi dopo si vedranno anche le conseguenze del conflitto stesso su quella parte di establishment religioso ortodosso (vedi Kirill) troppo apertamente schierati con il governo russo. Per quanti volessero capire meglio la situazione sul campo della Chiesa cattolica e degli ortodossi ucraini (due chiese: quella legata a Kiev e quella legata a Mosca) – tipo i giornalisti presenti a Leopoli – potrebbero rivolgersi all’arcivescovo greco-cattolico della città, Svjatoslav Ševčuk, che ogni giorno con il suo staff realizza e invia dei video, con i sottotitoli in italiano, inglese, spagnolo. Di suo l’arcivescovo non si sottrae ai giornalisti ed è un poliglotta (parla ucraino, russo, italiano, spagnolo, inglese, o sono queste almeno le lingue che gli ho sentito parlare dal vivo). Ed è un’autorità morale di primo piano. Forse per questo i giornalisti (italiani) inviati a Leopoli lo ignorano?

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Giornalista e saggista specializzato su temi etici, politici, religiosi, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato, tra l’altro, Geopolitica della Chiesa cattolica (Laterza 2006), Ratzinger per non credenti (Laterza 2007), Preti sul lettino (Giunti, 2010), 7 Regole per una parrocchia felice (Edb 2016).