«Fermate la guerra! In nome di Dio!». È il grido di papa Francesco, domenica a mezzogiorno. Le sue parole sono nette e inequivocabili: «Davanti alla barbarie dell’uccisione di bambini, di innocenti e di civili inermi non ci sono ragioni strategiche che tengano: c’è solo da cessare l’inaccettabile aggressione armata, prima che riduca le città a cimiteri. Col dolore nel cuore unisco la mia voce a quella della gente comune, che implora la fine della guerra. In nome di Dio, si ascolti il grido di chi soffre e si ponga fine ai bombardamenti e agli attacchi! Si punti veramente e decisamente sul negoziato, e i corridoi umanitari siano effettivi e sicuri».

Assieme alla condanna di questa disumana invasione c’è anche la condanna della guerra, di questa guerra, di ogni guerra. Va fermata subito! Più volte l’abbiamo ripetuto su questo giornale. E le vie non mancano. A cominciare da quella del blocco economico. Certo, deve essere pronta simultaneamente quella del negoziato. E questa richiede uno scatto di creatività politica di cui al momento non si colgono le tracce. Eppure sarà necessario cercarla e trovarla. Non bastano le telefonate. Occorre una effettiva ed efficace lungimiranza politica, perché da questa prova se ne esca con un disegno europeo rinnovato, sapiente, duraturo nel tempo. A me pare urgente ridisegnare il futuro e l’assetto politico del continente. Nel 1989 il Muro di Berlino è caduto e il Patto di Varsavia si è dissolto. Ci siamo illusi che per i paesi dell’Est la democrazia fosse a portata di mano, immediata, facile da raggiungere perché tanto a lungo desiderata ed auspicata. Ma ogni percorso politico democratico è lungo, faticoso, prevede anche dei momenti in cui sembra tutto perduto e sembra ci siano dei ritorni all’indietro. Come abbiamo visto in Bosnia, un’altra guerra degli anni Novanta, per dirci che il nostro continente è tutt’altro che pacifico e pacificato, a meno di un impegno preciso e deciso in tal senso.

Il Patto di Varsavia si è dissolto, ma la Nato è rimasta lì, intatta, anzi in fase di allargamento. E qui gli interrogativi si moltiplicano. E non è questa la sede per esaminarli. Mi pare che questa guerra spinga verso una plausibile difesa europea. Non deve comunque mancare l’interrogativo: da chi dobbiamo difenderci? Oggi la risposta sembra scontata: dobbiamo difenderci dal nazionalismo risorgente della Russia. È così? C’è un ulteriore interrogativo sul come ci si difende davvero. Abbiamo comunque coltivato l’illusione che il possesso delle armi nucleari servisse a scongiurare qualunque altro ricorso alle armi. Ed ecco dove ci troviamo, con un conflitto convenzionale dove a pagare il prezzo più alto sono i civili e le abitazioni delle persone normali, semplici. Come nel Medioevo, come nell’età moderna, come in tutte le altre guerre del passato. La guerra non serve, questa guerra come tutte quelle prima di questa e tutte le altre guerre in ogni angolo del mondo, dalla Siria all’Afghanistan, passando per l’Africa e l’America Latina e fino ai conflitti in Asia. Le abbiamo battezzate “guerre a bassa intensità” ma sempre di guerre si tratta!

È necessario immaginare e costruire un futuro diverso, affinché questo conflitto sia l’ultimo e serva da esempio per la ricerca e l’individuazione di modalità nuove di convivenza tra i popoli. A me pare che non ci siano alternative: l’Europa è una; ha due polmoni, certamente – Oriente ed Occidente hanno caratteristiche comuni e caratteristiche diverse – ma sempre di Europa si tratta. Si può – si deve – parlare di Europa ebraico-cristiana, solo per citare il denominatore comune più macroscopico. Lo diceva con insistenza il primo Papa che veniva dall’Europa dell’Est, Giovanni Paolo II. Un’Europa con due polmoni tenuta unita da una ampia zona di collegamento, come è nell’organismo umano. E allora se è così – ed è così, per la storia, per la cultura che abbiamo – è indispensabile ridisegnare un futuro che abbracci l’Europa dall’Atlantico agli Urali. Oggi la lingua comune parla di conflitto, sanzioni economiche, armi e uso della forza. Dove ci porta l’uso delle armi? I piani degli invasori non hanno fatto i conti con la fiera e forte resistenza e si infrange il sogno di una rapida conquista. Chi resiste sa di doverlo fare ma allo stesso tempo si troverà un paese disastrato, distrutto, con centinaia di migliaia di profughi, un paese spopolato e disarticolato.

Dobbiamo rassegnarci? Tutt’altro. Si deve agire però con creatività, portando al tavolo della trattativa politica tutto il Continente. Di tutto il Continente si tratta, perché è così squassante questo conflitto – così poderose le forze in campo – che tutti i paesi devono sentirsi coinvolti. Con chiarezza occorre dire: l’Europa del 2021 non esiste più. L’Europa della Nato, dell’Unione Europea, del G-7 che a volte diventa G-8, va ridisegnata, inventando una soluzione politica diversa, all’insegna di un progetto di inclusione politica, economica, finanziaria e culturale di tutti i paesi, nessuno escluso. Non c’è altra scelta. Oppure ci rassegniamo al conflitto con un continente a pezzi o – peggio – un continente distrutto da un conflitto che irreparabilmente si innalza fino alla distruzione. Dobbiamo comprendere che le guerre di oggi sono insensate sul piano umano prima di tutto e in secondo luogo sono insensate dal punto di vista economico, politico, sociale, culturale. Tutti i nostri paesi sono collegati tra loro: in ogni paese vivono cittadini di altri stati; le risorse energetiche ed economiche fluiscono tra l’uno e l’altro in maniera continua ed ininterrotta.

Davvero pensiamo di poter arrestare, bloccare, questi flussi o di utilizzarli come misura di ritorsione efficace? Davvero pensiamo che si possa bloccare l’economia di un paese lasciando tutti gli altri indenni? Siamo condannati ad inventare una soluzione politica, solo da una soluzione politica equa, reale, rispettosa del diritto internazionale e dei diritti potrà venire un’Europa dei popoli del futuro. «Si punti veramente e decisamente sul negoziato», ha detto papa Francesco. È l’unica voce realistica in questa dissennata corsa a dare voce a missili e cannoni. Solo il negoziato è lo strumento che la storia degli uomini ha saputo realizzare per arrivare a delle soluzioni. E oggi una soluzione è invocata a gran voce da chi ha a cuore il futuro di tutto il Continente. E lo ripeto: una politica lungimirante potrà indicare una strada a tutta l’umanità. Perché la Storia ci sta mostrando un punto di svolta. Siamo nel mezzo di una pandemia ancora non sconfitta; siamo dentro una crisi ambientale e climatica che certo non farà sconti a nessuno; siamo in un cambiamento d’epoca sul piano delle nuove tecnologie che intaccano l’umano stesso. E l’Europa – cristiana, dei popoli, della civiltà dell’Umanesimo, del Rinascimento, dell’Illuminismo, del Muro venuto meno nel nome della libertà -, risponde con la guerra? Ma davvero possiamo dire ancora: le armi risolvono? No, non è questo l’Occidente che siamo chiamati a sognare e a costruire.