L’intera popolazione ucraina è stremata dalla guerra. Al tredicesimo giorno dall’inizio dell’invasione russa si stima che dall’Ucraina siano riuscite a scappare circa 2 milioni di persone. Tra queste si stima che i bambini siano tra gli 800mila e un milione circa. Una cifra che non ha precedenti nella storia delle crisi umanitarie.

Un numero sempre più alto di bambini arriva alla frontiera da solo, senza il sostegno della famiglia: è una vera e propria emergenza per la loro protezione. È il grave allarme lanciato da Save the Children, che sottolinea come i suoi operatori impegnati al confine riportino dell’arrivo di alcuni bambini soli, mandati verso altri paesi da familiari costretti a rimanere in Ucraina, che hanno cercato di metterli al sicuro da attacchi e bombardamenti. Altri hanno perso le loro famiglie nella concitazione della fuga dalle loro case, molti hanno meno di 14 anni e manifestano segni di disagio psicologico.

Come riportato dall’Ansa due studentesse fotografe hanno messo su un progetto realizzato alla stazione di Varsavia, una delle stazioni in cui in questi giorni si stanno riversando centinaia di profughi ucraini. Paulina Byczek e Klaudia Kopczynska hanno fotografato i bambini in arrivo e chiesto loro di disegnare quello che provavano. Il progetto si chiama “Piccoli soli”. Molti dei bambini che hanno coinvolto nel progetto viaggiavano con le loro mamme, altri magari con parenti.

Le due fotografe hanno chiesto ai piccoli di esprimere le loro emozioni con dei disegni. Sono venuti fuori cuoricini, arcobaleni, bandiere ucraine. Ma pure carri armati e bombe. Poi ci sono i commenti. Quelli di ogni bambino: “Voglio diventare un medico”; “voglio avere una Lamborghini”. E quelli che invece i bambini non dovrebbero conoscere: “Voglio che mio papà sia accanto a me”; “voglio la pace”. Umid, 6 anni, ha disegnato la casa e la scuola. Poi ha scritto: “Voglio diventare un soldato. Non mi uccidere. Io non voglio morire”.

Paulina ha detto che l’ha colpita soprattutto il disegno di Evelina, 8 anni. “Ha disegnato due smile che sarebbero il viso di Putin e la bandiera Ucraina: poi è andata a sostenere la mamma che piangeva tantissimo. È stata lei ad abbracciarla e ad asciugarle le lacrime”. Ogni bambino ha reagito in maniera diversa. “Molti sembravano chiaramente traumatizzati, altri solo timidi, altri ancora si tenevano la testa tra le mani come se cercassero di non sentire, altri correvano come se niente fosse”. Su Instragram Paulina ha messo i disegni e scritto una cosa molto vera. In questo momento “possono essere quelli che ci indicano la strada. I bambini mettono la luce dove noi non guardiamo, perché abbiamo paura o ci dimentichiamo. Allora lasciamoli parlare”. E soprattutto, portiamoli lontano dalla guerra.

Save the Children “sta lavorando senza sosta con altre organizzazioni, per stabilire procedure per rintracciare i parenti dei bambini arrivati soli e facilitare il ricongiungimento familiare o per mettere in bambini in contatto con la famiglia allargata e i conoscenti in Polonia o nei paesi limitrofi. Inoltre, l’organizzazione è attiva per stabilire sistemi di protezione e meccanismi di segnalazione per i minori”, fa sapere.

“I genitori stanno ricorrendo alle misure più disperate e dolorose per proteggere i propri figli, incluso l’allontanarli da sé e mandarli via con vicini e amici, per cercare sicurezza fuori dall’Ucraina, mentre loro rimangono in patria per proteggere le loro case”, ha dichiarato Irina Saghoyan, direttrice di Save the Children per l’Europa orientale. “Per i bambini, la separazione dai propri cari può tradursi in un profondo stress psicologico dovuto all’insicurezza, alla paura per le sorti dei membri della propria famiglia e all’ansia da separazione.
Aumentano anche i rischi di violenza, sfruttamento, tratta e abusi. Molti di loro viaggiano con i loro fratelli maggiori o con famiglie allargate, vicini o altri adulti di riferimento. Hanno bisogno di protezione e supporto e sono ancora incredibilmente vulnerabili”, ha proseguito Saghoyan.

Devono essere compiuti tutti gli sforzi per prevenire la separazione dei bambini dai loro caregiver e per garantire il tracciamento immediato della famiglia e il ricongiungimento laddove si verifichi la separazione. Sappiamo che più velocemente agiamo, più è probabile riuscire a riunire con successo i bambini ai loro caregiver. Continueremo a rispondere dove c’è più bisogno e dove i bambini necessita si urgente protezione”, ha concluso. L’organizzazione chiede alle autorità “di frontiera e alle organizzazioni umanitarie di mettere in atto misure per cercare di far rimanere i bambini con i loro caregiver di riferimento, di fornire supporto psicosociale incentrato sui bambini e attuare programmi per prevenire la separazione dalla famiglie. Questi servizi devono includere spazi e informazioni a misura di bambino, ricerca e ricongiungimento familiare e supporto alla salute materno-infantile”.

Save the Children opera in Ucraina dal 2014, fornendo aiuti umanitari essenziali ai bambini e alle loro famiglie, sostenendo il loro accesso all’istruzione, supportandoli a livello psicosociale, distribuendo kit invernali e kit per l’igiene, e fornendo denaro alle famiglie in modo che possano soddisfare le esigenze di base come il cibo, l’affitto e le medicine, o in modo che possano investire in nuove attività.

Il personale e i volontari di Save the Children stanno distribuendo cibo, acqua e prodotti igienici ai rifugiati che arrivano al confine tra Romania e Ucraina e nei centri di accoglienza, afferma l’organizzazione; in Polonia e Romania, stanno fornendo servizi di protezione dell’infanzia, come il supporto mirato per i minori non accompagnati e separati, il supporto psicosociale e l’accesso ai servizi legali. Anche in Italia l’organizzazione è attiva al valico Fernetti dove, in collaborazione con Unicef, distribuisce bene di prima necessità, informazioni e dispositivi sanitari ai bambini profughi in arrivo nel nostro Paese.

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Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.