L’informazione sulla guerra di Ucraina è di ottimo livello. Perché? Perché è realizzata dalla parte degli aggrediti, di quelli che subiscono l’invasione e i bombardamenti. È la prima volta che succede. Per noi italiani è una assoluta novità. Mi ricordo la guerra in Serbia, alla quale partecipò anche la nostra aviazione e poi il nostro esercito. Gli invasori eravamo noi. L’informazione non si soffermò molto sugli effetti devastanti della guerra sulle popolazioni civili. Ero a Belgrado, ma spesso al mio giornale non piacevano gli articoli che proponevo, o che inviavo.

Preferivano una informazione più ufficiale. Volevano sapere il numero dei raid, gli obiettivi colpiti e magari qualcosa sulle difficoltà del governo di Belgrado. Di bombe a grappolo era meglio tacere. Eppure c’erano. Molti bambini ne restavano vittime. Le bombe a grappolo sono un’arma atroce e vigliacca. Oggi, finalmente, lo sappiamo, perché anche gli americani si indignano per quelle russe. Loro però ne gettavano tante, in silenzio. Poi ci fu l’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq. Precedute da bombardamenti a tappeto. Furono usate anche le bombe al fosforo, quelle che gli inglesi, 60 anni prima, avevano usato per bruciare Dresda, senza motivo. La nostra informazione era molto sobria, anche in quell’occasione. Gran parte dei giornalisti erano “embedded”, termine inglese che vuol dire incorporati. Cioè, viaggiavano con l’esercito invasore, quello degli americani e dei loro alleati. Chiaro che se sei un giornalista embedded non puoi occuparti molto dei nemici. Dei perdenti.

Stavolta le parti sono invertite. Invadono i russi. Bombardano i russi. I nostri sono gli ucraini, che provano a difendersi a fucilate, o con le molotov o con i cavalli di frisia. L’altro giorno ho sentito che stavano piazzando i cavalli di frisia nelle strade per fermare i carri armati. Sapete cosa sono i cavalli di Frisia? Filo spinato arrotolato a grandi cerchi. Fermano facilmente una manifestazione di studenti. Un carro armato li appallottola in un paio di minuti. Finalmente vediamo le cose che non ci hanno fatto mai vedere. Siamo dalla parte dei perdenti. Anche i profughi che partono, piangendo, soffrendo, gridando. Scappano dalla morte e non sanno dove andranno. E i bambini piangono anche loro, tristi, sperduti, e hanno paura. Oppure piangono e hanno paura mentre le mamme li trascinano nei rifugi anti-aerei e anti-missile.  Hanno perso gli amichetti, la scuola, il papà. Non capiscono che succede, vorrebbero giocare. Ma la casa è crollata, e la Tv, finalmente, ce lo fa vedere. Le bombe quando cadono non fanno politica, distruggono e fanno morte.

È una grande novità. Sono cose che non erano mai entrate nella nostra immaginazione. Anche il pacifismo, in gran parte, da noi è stato solo ideologico o di buonsenso. Non partiva dalle emozioni, dall’empatia. Ora si sono rovesciati i valori e i giudizi. A me importa poco che in tutto questo ci sia molta ipocrisia. Che ci si dimentichi di quel che siamo stati noi, di quel che abbiamo fatto noi, della arroganza con la quale pretendevamo di avere la ragione e la civiltà dalla nostra parte mentre sterminavamo popolazioni civili inermi. Mi interessa il rovesciamento. Soprattutto perché ho l’impressione che non potremo più tornare indietro. Far finta di non sapere. Scordarci il pianto. La guerra, amici miei, è così come ce la stanno facendo vedere. I profughi non sono lestofanti, sono povere persone da aiutare. Ucraini, Afghani, Siriani, è la stessa cosa. Ce lo ricorderemo tra un anno? Speriamo di sì.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.