Vladimir Putin «è un assassino» e «pagherà un prezzo» per aver cercato di interferire nelle elezioni Usa del 2020. Lo ha detto ieri Joe Biden, nel corso di un’intervista a Good Morning America, commentando il rapporto di intelligence secondo il quale Putin, nel corso della campagna elettorale, ha orchestrato una iniziativa di disinformazione per colpire l’allora candidato democratico. E alla domanda di George Stephanopoulos dell’Abc sulle possibili conseguenze, il presidente ha risposto: «Lo vedrete a breve». Il prezzo da pagare per Putin consiste nell’ampliamento delle sanzioni commerciali che colpiranno subito i settori della “sicurezza nazionale”, e, dal 1° settembre, si estenderanno anche al comparto dell’aviazione e della ricerca spaziale.

Nell’intervista alla Abc, Biden si è riferito al colloquio telefonico avuto con il presidente russo dopo il suo insediamento, durante il quale ha affrontato a muso duro la questione delle interferenze elettorali e la vicenda di Aleksey Navalny. «Abbiamo avuto un lungo colloquio, lo conosco relativamente bene – ha detto Biden, che ha avuto rapporti con Putin quando era vice presidente di Barack Obama – e la nostra conversazione è iniziata così: io ti conosco e tu mi conosci, se dico che è successo questo, preparati». Allo stesso tempo, Biden ha assicurato che continuerà a «camminare e masticare chewing gum» con Putin. Un modo ammiccante per chiarire che si lavorerà insieme «dove ci sono aree di reciproco interesse», come nel caso del rinnovo dell’accordo Start sul nucleare. La conferma delle nuove interferenze elettorali di Mosca è arrivata con il rapporto pubblicato martedì scorso dall’Office of Director of National Intelligence. In pratica, Russia e Iran hanno cercato di interferire, anche se non ci sono prove che abbiano cercato di cambiare i risultati elettorali.

Il rapporto rivela che diverse agenzie governative russe hanno operato segretamente per denigrare la figura di Joe Biden e per sabotare la sua candidatura e la campagna del partito democratico. Con l’obiettivo di sostenere l’ex presidente Trump, di minare la fiducia dell’opinione pubblica nel processo elettorale e di scatenare il conflitto sociale e politico nel cuore degli Stati Uniti. Rispetto alle interferenze del 2016, non c’è stata «violazione delle infrastrutture informatiche elettorali americane». Ma questa volta la “disinformazia” russa ha visto la complicità degli alleati di Donald Trump. Ciò che è stato ampiamente ipotizzato nel 2020, è oggi confermato: Trump e i suoi più stretti collaboratori e alleati hanno incontrato gli emissari del Cremlino e hanno promosso le loro teorie del complotto.
Il rapporto, però, evidenzia anche altri aspetti. In primo luogo, anche Trump è stato bersaglio di un tentativo di interferenza da parte dell’Iran. In ogni caso, l’operazione orchestrata dall’Iran si è rivelata assai più modesta rispetto a quella russa contro Biden. Il rapporto smentisce poi i tentativi di alterare il processo di voto nelle elezioni presidenziali del 2020 da parte di paesi stranieri.

L’elemento chiave della strategia di Mosca è stato l’uso di proxy, ovvero di server “intermediari” tra gli utenti e i siti web, al fine di limitare e orientare la navigazione verso altri contenuti, spesso falsi – comprese accuse fuorvianti o infondate contro il presidente Biden – capaci di influenzare negativamente l’orientamento dei cittadini americani. L’operazione della intelligence russa ha poi coinvolto «le organizzazioni dei media statunitensi, i funzionari statunitensi e altri personaggi di spicco, inclusi quelli vicini all’ex presidente Trump e alla sua amministrazione».
Le agenzie di intelligence statunitensi sostengono pure che Putin «aveva giurisdizione sulle attività di Andriy Derkach», il parlamentare ucraino che ha incontrato Rudy Giuliani, l’avvocato di Trump, e ha ripetutamente promosso la disinformazione anti-Biden. I media americani avevano già segnalato che Giuliani e altri alleati dell’ex presidente si erano schierati pubblicamente con figure legate al Cremlino come Derkach e altri. Grazie al rapporto, crolla la gran parte delle false narrazioni che gli organi di stampa di destra avevano diffuso: tra queste le accuse sui rapporti di Biden in Ucraina e sulle frodi nei confronti degli elettori.

Dal quadro delineato emerge l’immagine di un governo Usa troppo esposto all’interferenza di potenze straniere. Lo dimostra il caso di Konstantin Kilimnik, uno degli agenti russi incaricati dal Cremlino e anima di una fabbrica di troll. Accusato di ingerenze già nel 2016, Kilimnik è stato incriminato nel 2018, ma è rimasto al sicuro in Russia. E da qui ha continuato la sua attività segreta durante la campagna elettorale del 2020. Una dozzina di troll che agivano alle sue dipendenze è stata sanzionata, ma le operazioni online sono riprese senza ostacoli. Insomma, «una sfida duratura per gli Usa», come l’ha definita Avril Haines, direttrice dell’intelligence nazionale di Biden. Chi ha gongolato alle parole di Biden è stata ovviamente la Fondazione Anti-Corruzione di Navalny che su twitter ha postato: «Biden senza ombra di dubbio chiama Putin “assassino”. Perché è veramente così. Per qualcuno sarà difficile accettarlo ma il presidente della Russia è un assassino. A tutti quelli che dubitano, fategli vedere il nostro video su come Vladimir Putin ha cercato di uccidere Alexey Navalny».

All’opposto, Vyacheslav Volodin, presidente della Duma, definisce quello di Biden «un attacco alla Russia», il frutto di «isteria provocata dalla debolezza». E il senatore Andrej Klimov, presidente del comitato per la cooperazione Russia-Ue, accusa il presidente americano di russofobia. Sono le prove di una nuova guerra fredda? Forse sì, ma resta il fatto che, secondo Stephen Collinson della Cnn, «la vera bomba che il rapporto dell’intelligence americana contiene» è la conferma «che per la seconda elezione consecutiva, gli accoliti di Trump hanno ripetutamente utilizzato, consapevolmente o meno, la disinformazione prodotta dalle spie di uno degli avversari stranieri più giurati dell’America per cercare di vincere le elezioni». Per i media liberal, gli uomini di Trump che hanno diffuso false notizie di frode elettorale e i sostenitori trumpisti del Gop nei diversi stati – che ora stanno approvando leggi di soppressione degli elettori – condividono lo stesso obiettivo: la “denigrazione” del sistema democratico statunitense.

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