Se vogliamo valutare fino in fono il senso della vicenda drammatica apertasi negli Usa con la sorprendente vittoria di Trump nel 2016 dobbiamo partire per forza dal 1989 quando il mondo comunista in Europa implose. Allora si confrontarono due ipotesi, quella di Fukuyama secondo il quale “la storia era finita” nel senso che oramai aveva vinto definitivamente la liberaldemocrazia, il mercato, la concorrenza. Invece secondo Huntington si sarebbe andati verso “un conflitto di civiltà” nel quale si sarebbero scontrate le visione religiose e ideologiche. Con tutte le approssimazioni del caso la seconda ipotesi è risultata prevalente con l’aggiunta che sono esplose anche fortissime contraddizioni economiche.

Così da un lato si è affermato sempre di più il fondamentalismo islamico parte del quale ha dato vita al terrorismo lungo due filoni, quello di Al Qaeda e quello di Daesh. Quello che è avvenuto l’11 settembre è stato emblematico di molte cose. In ogni caso, di fronte alla spettacolare operazione terroristica effettuata a New York, gli Usa o parte di essi hanno cominciato a sentirsi assediati con una forte tendenza alla reazione di carattere militare. Nel contempo, però, si sono sviluppati una serie di processi economici che possiamo elencare schematicamente in questa sequenza: globalizzazione, finanziarizzazione, deregolamentazione. Nella globalizzazione sono emersi nuovi grandi protagonisti, in primo luogo la Cina la cui concorrenza talora sleale e selvaggia ha provocato la crisi di pezzi cospicui dell’industria manifatturiera negli Usa e in Inghilterra. Per parte loro i democratici negli Usa e il blairismo socialdemocratico in Inghilterra hanno cavalcato queste novità e però sono stati investiti dalla reazione di rigetto dei ceti colpiti quando fra il 2007 e il 2012 si sono sviluppate ben due crisi finanziarie, una negli Usa e l’altra in Europa.

Da un lato la Brexit dall’altro la vittoria di Trump nel 2016 derivano in parte da questi fenomeni di carattere strutturale. Trump ha interpretato tutto ciò lanciando il gridio isolazionista e sovranista “America first”, che per un verso è molto forte, serio e radicato, per altro verso però mette radicalmente in questione la missione americana nel mondo. In un mondo attraversato da molti elementi negativi, quale l’imperialismo politico ed economico del comunismo capitalistico cinese, il neoautoritarismo di Putin impegnato in una politica di potenza, l’autoritarismo sovranista di Erdogan e di Orban, Trump ha fatto venire meno la voce democratica e liberale dell’America e ha espresso a sua volta un messaggio insieme isolazionista con risvolti razzisti con continue civetterie nei confronti dell’estrema destra primatista. Rispetto poi all’esplosione della pandemia, Trump è stato uno di coloro che ha espresso un durissimo darwinismo economico nel quale la crescita era molto più importante della vita di centinaia di migliaia di persone. All’interno della dialettica politica americana Trump ha provocato una rottura profonda anche rispetto agli aspetti consueti della tradizione repubblicana.

Sia Reagan, sia Bush sr. hanno certamente espresso e portato avanti le loro posizioni conservatrici-liberiste, ma hanno sempre mantenuto un rapporto dialettico con l’America espressa dal Partito Democratico. Invece Trump è stato sempre divisivo, ha sempre puntato sullo scontro frontale anche sul terreno dell’ordine pubblico, addirittura ha cercato di provocare i settori folli presenti in quella sorta di razzismo alla rovescia che è l’estremismo nero in modo da poter cavalcare lo slogan e la politica della legge e dell’ordine. Adesso non riconoscendo la sconfitta sta assumendo una posizione sostanzialmente eversiva che non sappiamo dove porterà l’America, ma che è comunque in totale rottura rispetto a tutto quello che è avvenuto nel passato. Trump ha dato il peggio di sé stesso su quella che impropriamente si chiama la politica estera, ma che è qualcosa di più profondo: riguarda il ruolo degli Usa nel mondo da quando Roosevelt scese in campo contro i nazisti raccogliendo l’appello di Churchill e poi dopo, quando Truman nel 1945 bloccò l’imperialismo sovietico. In coerenza con ciò gli Usa hanno costruito una strategia fondata sul multilateralismo, sulla Nato, su stretti rapporti con l’Europa.

Ebbene, Trump ha inferto colpi durissimi a tutto ciò: ha fatto da sponda alla Brexit, ha attaccato l’Unione Europea, ha rotto con la Germania della Merkel, ha tradito i curdi concedendo a Putin e in secondo luogo ad Erdogan un enorme spazio nel Medio Oriente. Trump ha avuto ragione su due cose di cui gli va dato atto: lo scontro con la Cina, l’appoggio dato all’intesa fra Israele e una parte degli Stati sunniti. Di conseguenza, a nostro avviso, la vittoria di Biden è positiva da molti punti di vista, ma il nuovo presidente americano ha un compito difficilissimo. In primo luogo, di qui a gennaio deve evitare che avvengano fatti destabilizzanti: è auspicabile, ma non è certo che nel Partito Repubblicano emerga una posizione responsabile. In secondo luogo, si dovrà misurare con difficilissimi problemi, dalla pandemia alla politica economica e sociale, alla politica estera con un Partito Democratico che non va affatto idealizzato, percorso com’è da tendenze assai differenziate.

Con la sconfitta di Trump il sovranismo in Europa e in Italia ha preso certamente un duro colpo, anche perché leggendo alcuni giornali e alcune dichiarazioni nel caso di una vittoria di Trump saremmo stati investiti da una violentissima carica degli ultrasovranisti. In ogni caso nessuno deve dimenticare che sia nel 2016 sia oggi, ma meglio distribuiti, il Partito Democratico ha ben tre milioni di voti in più di quello repubblicano e ciò in democrazia qualcosa conta. Ci auguriamo che in politica estera Biden faccia delle scelte nette su due punti fondamentali: l’apertura all’Europa, il mantenimento di una posizione conflittuale con la Cina, anche se non nei termini oltranzisti con cui l’ha espressa Trump. Sul piano del centro-destra italiano Berlusconi ha detto certamente cose ragionevoli e del resto il Ppe non aveva nulla a che fare con Trump. Quanto alla Lega, mentre Giorgetti ha fatto subito un bel salto della quaglia, che comunque va apprezzato, il nucleo d’acciaio del sovranismo, cioè Salvini-Bagnai-Borghi, che ha scoperto l’uso delle mascherine quando sono state in commercio quelle che avevano stampigliato il nome di Trump, sembra che allo stato ha in Rudolph Giuliani il suo punto di riferimento.