Che cosa offre la visione del pianeta se lo guardiamo con microscopio e telescopio? E quanto l’Italia e la sua politica possono essere coinvolte dallo stato del pianeta? Poco? Niente? E se Donald Trump – come è possibile ma non sicuro – venisse sconfitto a novembre e Joe Biden diventasse da gennaio il suo successore, che mondo sarebbe quello guidato dai democratici di stirpe clintoniana, drasticamente antirussa?
Che Europa? Quale Italia? E quale sarebbe l’impatto di modifiche così importanti e incerte sulla tenuta della nostra democrazia parlamentare, frutto per ora di inverecondi pasticci e furbizie? Davvero la Penisola proseguirebbe il suo corso di mediocrità decrescente, e infelice?

Prendiamo il barattolo dei dadi e gettiamoli. Proviamo a leggere. Partiamo dall’Europa. L’America se ne va dalla Germania per lasciare alla Merkel il peso della sua propria difesa: «Noi ce ne andiamo, e voi imparate a farvi i vostri carri armati e non contate più su di noi: non siamo più la vostra mamma dalle molte mammelle e molti cannoni e addio». Tutti coloro che hanno scambiato Trump per un sovranista alla maniera di Putin, Orban, Salvini, Le Pen, Meloni, si preparino alla sorpresa. Trump non è e non agirà come un sovranista: né lui né il nuovo think-tank politico repubblicano delle Candace Owren e di Dinesh D’Souza, per cui gli Stati Uniti abitano un altro pianeta, lontano dalla Terra, come Marte o Saturno. Hanno i loro razzi, e navi spaziali, vogliono spendere e acquistare presso i selvaggi terrestri, ma non vogliono trovarseli in casa casa barando sulle procedure. È diverso dal sovranismo de noantri. Gli americani non hanno da difendere una identità etnica o culturale, ma soltanto degli scambi commerciali e della praticabilità protetta di ogni via di scambio, fra cui il Mar del Sud della Cina, da cui passano i cinque settimi del traffico mondiale e che la Cina cerca di mettere sotto il suo controllo, come ha fatto con Hong Kong e come si prepara a fare con Taiwan, mettendo anche un ginocchio sul collo dell’Australia, che comincia a non respirare più bene.

Allora, Trump – che odia i tedeschi che si sono rifatti della sconfitta di due guerre egemoniche da loro scatenate e perse col sangue di tutto il mondo, ma che hanno vinto la terza vivendo a sbafo del pianeta americano – sta facendo armi e bagagli per portare gli yankee at home. Ma tutti gli analisti sono concordi nel dire che ha altri piani. Quali? Dislocare una forza armata super tecnologica nel cuore dell’Europa. In funzione di che cosa? Contenimento della Russia, affiancamento dell’Ucraina, potenziamento della Polonia, blindatura dei Paesi baltici?
È una chirurgia plastica anti-Putin che in questo momento si trova davvero alla canna del gas, sia perché il crollo del prezzo del petrolio ha reso la Federazione russa poverissima in preda a sommovimenti sociali, sia perché la Russia e la Germania hanno voluto, contro il parere americano, costruire un gasdotto strategico, che ribalta i rapporti di forza. Perché? Perché salta i Paesi dell’Est per portare la merce direttamente ai nostri fornelli occidentali, consentendo ai russi di vivere.

La nuova bestia si chiama Nord Stream2 e non appena sarà operativo, Putin, senza chiudere il flusso del suo gas in Europa occidentale, potrà far tremare di freddo vicini scomodi come la Polonia, l’Ucraina. La Germania è stata più volte diffidata dagli Stati Uniti, ma fra rubli e dollari, Merkel ha scelto i rubli. Le conseguenze, come l’intendenza degli eserciti napoleonici, sono un po’ lente, ma arrivano. In questa vicenda c’è dunque il desiderio americano di tenere a cuccia la Russia senza tirar fuori le armi come si faceva ai tempi di Obama, tempi che tornerebbero se alla Casa Bianca arrivasse Joe Biden (un affarista in Ucraina insieme a suo figlio Hunter, il cacciatore di nome di fatto). Il congelamento del fronte russo consente di potersi dedicare con tutte le astuzie ed energie al nemico vero: la Cina. E qui possiamo vedere qualche altro materiale che abbiamo gettato sul tavolo dei dadi.

Trump si è compromesso con la Cina, ma sta tirando indietro una gran parte dell’industria americana dislocata nel territorio cinese, e in più sta armando l’India. Nel progetto americano c’è una grande India anglofona cresciuta nel culto della democrazia post-coloniale che prenderà il posto della Cina comunista. Non accadrà in un giorno o in anno, ma il fatto sta già accadendo e Pechino risponde nervosamente con attacchi e provocazioni militari lungo il confine russo-cinese. I soldati cinesi non sparano ai soldati indiani, ma li colpiscono a sassate, coltellate, mazzate, dispetti e incendi per provocarli all’uso delle armi da fuoco. Gli indiani resistono, ma dovranno decidere se lasciare il terreno ai cinesi e perdere la faccia in Asia, oppure difendere il loro terreno ma perdere la pace. Sono due potenze nucleari – India e Cina – ma non è la prima volta che se le danno, la prima, molto sera, fu nel 1962, quando la Cina mostrava i muscoli anche all’Unione Sovietica e cominciava a fare la gradassa con i vicini geografici, anche con quelli comunisti. La Cina ha una manifesta voglia egemonica di dominare il mondo e non soltanto di commerciare con esso e lo dice pubblicamente, con candore.

Il ministro degli Esteri cinese ha recentemente detto: «Noi cinesi non siamo affatto affascinati dalla vostra democrazia, perché la vostra idea di libertà non equivale alla nostra idea di ordine. La Cina ha bisogno di ordine mondiale e di essere riconosciuta per il ruolo e l’importanza che essa naturalmente ha nella storia e nell’attuale geografia mondiale». Così, papale, papale. Ovviamente personaggi ambiziosi, opachi e spasmodicamente alla ricerca di successo come alcuni nostri leader del pensiero fondato sull’arretramento felice e il naufragio culturale, come tutti quelli derivati dal Grillo-pensiero, si crogiolano e si rotolano sui morbidi cuscini e passamanerie della via della seta e per loro va bene tutto: porti cinesi, 5G con annessa lunga intercettazione sulle grandi Cloud dei server cinesi – tanto, che c’importa, abbiamo già messo i Trojan nei nostri cellulari – basta che Pechino chieda, e noi eseguiamo. Paradossalmente, questa voglia di servilismo italiano non fa arrabbiare gli americani. Gli inglesi, sì. Gli inglesi hanno mantenuto una loro inflessibilità, che non condividono con gli americani, che sono un’altra razza e un’altra storia, anche se in fase di grande annuso reciproco.

La politica americana in Europa dell’attuale amministrazione Trump, paradossalmente, non è diversa da quella del suo predecessore Barack Obama il quale poco prima di lasciare la Casa Bianca accontentò i polacchi spostando nel loro Paese una brigata corazzata formidabile per armamento e tecnologia, capace di tenere in scacco tutti i grandi bidoni missilistici russi. Quella brigata corazzata arrivò in Polonia mentre Trump si insediava e lì è rimasta. L’attuale presidente ha stretto accordi di ferro con polacchi e ungheresi sulla base di un comune interesse: contenere gli appetiti di una Russia alla ricerca della gloria e dei confini perduti, ma allo stesso tempo con una funzione anticinese: dove sono dislocati i giocattoli informatici e nucleari americani, i cinesi non sono i benvenuti, a meno che non si tratti su una nuova globalizzazione, da rifare da cima a fondo.

Questi scenari si sovrappongono alla faccenda Covid, alle imbarazzanti dichiarazioni di John Bolton secondo il quale Trump implorò Xi di sostenere la sua rielezione, alle grandi tensioni americane – ormai sulla via di una vera rivoluzione da cui il rapporto fra cittadini e polizia sarà radicalmente riformato – e ai futuri sviluppi commerciali tra Regno Unito e Unione europea da una parte e Regno Unito e Stati Uniti, dall’altra. Di sicuro, Stati Uniti, Cina, Regno Unito e l’Europa dominata dalla Germania, ciascuno si sta preparando alla guerra. A una vera guerra. Di cui non si può sapere molto perché sarà una guerra du hacker, mercati, trader, scontri di frontiera, scontri satellitari e spaziali, propaganda, dominio sui social e mezzi di disinformazione.

Questa guerra è secondo molti già in atto in una intensità relativamente bassa e mantenuta in uno stato di reversibilità, evitando i punti di non ritorno. Sì, gentili lettori: avete ragione. Troppa carne al fuoco fa troppo fumo per consentire la vista di ciò che si sta per servire a tavola. Ma per ora sembra certo che una nuova era, o secolo, o millennio, sono cominciati. Siamo definitivamente in un mondo lontano e altro dal XX secolo, con una popolazione adulta e già in fase riproduttiva nata dopo il 2000. La storia passata è stata dimenticata e archiviata, la memoria spenta, i mercati seguono altre vocazioni che quelle nazionali, ma oggi più che mai si può dire che esistono grandi poteri planetari e che l’Italia non ne fa parte., né per intelligenza né per intelligence. To be continued, ovvero à suivre, insomma: continua.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.