Il negoziato e la ricerca di una intesa sono la stella polare. Penso che questo possa essere un punto fermo. Poi ciascuno indica la via che gli sembra la più realistica. la più giusta. Quella pacifica, quella militare, una combinazione tra le due. Vi ricordate di Yalta? Yalta è una città della Crimea. E lì, quasi 80 anni fa, si incontrarono tre giganti della politica novecentesca: Roosevelt, Churchill e Stalin. Due di loro erano portabandiera della democrazia. Il terzo era un dittatore. Più feroce di Putin. Però se l’Occidente ha potuto, dopo Yalta, godere di quasi ottant’anni di pace e di ricchezza, se la civiltà occidentale ha avuto un incredibile salto di sviluppo, se la stessa democrazia ha toccato limiti inauditi e impensabili allora, molti dei meriti vanno alla genialità di quei tre statisti. Non dimentichiamolo.

Yalta è ancora lì. E a me pare chiarissimo che oggi di quello c’è bisogno: una nuova grande conferenza di pace, ai livelli massimi, che coinvolga tutte le grandi potenze e che delinei una ipotesi di pacifico svolgimento delle relazioni internazionali per il prossimo secolo. Non è utopia. È una possibilità concretissima. Che richiede la rinuncia al fondamentalismo, all’arroganza, e la ricerca vera non di interessi elettorali ma del bene comune. Il bene del mondo, dico.

Gli statisti non si fanno ingabbiare dagli interessi elettorali. Churchill pagò cara Yalta. Lui, l’eroe di Inghilterra, aveva vinto la guerra, sconfitto il nazismo, liberato l’Italia e la Francia, salvato l’Inghilterra, sconfitto Hitler, definito il dopoguerra e il nuovo ordine mondiale. Quattro mesi dopo Yalta, in Gran Bretagna si votò e Churchill fu travolto dai laburisti. Alla conferenza di Potsdam, dopo la presa di Berlino, in luglio, partecipò Clement Atlee per l’Inghilterra, e non c’era più neanche Roosevelt, morto improvvisamente e sostituito da Truman.

Dire Yalta vuol dire esattamente questo. No ai fondamentalisti. Anche qui in Italia. Tra di noi c’è chi è favorevole all’uso delle armi per ostacolare l’invasione russa. E all’invio di armi a Kiev. C’è chi è contrario, e si dichiara pacifista. Io sono contrario. Sul nostro giornale, tutti i giorni, ci sforziamo di illustrare le ragioni degli uni e degli altri. Perché? Per la semplicissima ragione che siamo convinti che né gli uni né gli altri siano dei folli. Folle è solo la guerra. Di fronte alla follia della guerra si possono avere idee molto diverse su come opporsi. E non per questo si è fuori di testa.

I pacifisti hanno le loro ragioni. Anche quelli che vogliono mandare armi in Ucraina le hanno. Paolo Mieli, per esempio, ha elencato tanti precedenti di resistenza armata. Tutti grandiosi. Ha ragione Mieli. Però Aldo Capitini che durante l’occupazione nazista praticò la scelta nonviolenta, o Primo Mazzolari, non erano dei traditori venduti ai tedeschi. Giusto? E la nonviolenza è una scelta discutibile, ma nobile, Quanto imbracciare il mitra, almeno. Ecco, ripartiamo da lì. Vediamo se il governo italiano può spendersi per premere verso una conferenza di pace. Senza scambiarci accuse sanguinose. Che non hanno senso. Non hanno nessun fondamento.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.