Il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan è a Washington per incontrare il segretario di Stato americano Antony Blinken nel quadro degli incontri del meccanismo di dialogo strategico Turchia-USA. Il suo è il primo viaggio negli Stati Uniti da quando Ankara ha dovuto cedere, dopo una lunga disputa con Washington, alla richiesta di dare l’assenso all’adesione della Svezia alla Nato. In cambio, il Congresso Usa ha ceduto alle richieste del Dipartimento di Stato di allentare le sanzioni militari contro la Turchia per consentire l’approvazione della vendita di 40 aerei da combattimento F-16 e 79 kit di ammodernamento necessari ad Ankara per il potenziamento della propria flotta di caccia.
La fine del braccio di ferro tra Ankara e Washington ha alimentato le speranze di un miglioramento delle relazioni dopo un prolungato periodo di tensioni rendendo possibile la discussione su dossier spinosi come quelli riguardanti i conflitti in Ucraina e a Gaza, le dispute nel Mediterraneo orientale con Grecia e Cipro, la Siria, lo Yemen, l’Iran, la Libia e il processo di pace tra Azerbaigian e Armenia. Ma le questioni economiche-commerciali restano in primo piano nei contatti di Fidan con Blinken tanto quanto quelle politico-militari che hanno avuto un ruolo nella crisi economica in corso in Turchia. Non è un caso che il ministro turco delle Finanze è in attesa di sviluppi positivi nelle relazioni economico-commerciali tra i due alleati che rendano possibile l’aumento del volume di interscambio fino a 100 miliardi di dollari e una forte continuazione della cooperazione energetica dal momento che Ankara rimane il più grande acquirente di Gas Naturale Liquefatto (Gnl) dagli Stati Uniti.
Altro dossier cruciale riguarda la persistente partnership degli Stati Uniti con le Forze democratiche siriane (Sdf) a guida curda nel nordest della Siria ritenuta dalla Turchia una minaccia alla sua sicurezza nazionale dal momento che queste sono considerate una diramazione del Pkk che combatte nel sudest anatolico per l’autonomia. Erdoğan ha riaffermato la sua determinazione a istituire quello che lui chiama “corridoio libero dal terrore”, una “zona di sicurezza” profonda 40 chilometri che corre lungo tutto il lungo confine di 1240 chilometri con Siria e Iraq per tenere a bada i combattenti curdi. È improbabile che la visita di Fidan possa spostare l’ago della bilancia di Washington in Siria dal momento che il Pentagono ha ribadito che non ha alcuna intenzione di ritirare il suo contingente di circa 900 uomini dislocati nelle basi del nordest del paese né di interrompere la sua partnership con i curdi, preziosi alleati nella guerra contro l’Isis che in quella regione continua a rappresentare una minaccia, anche se l’amministrazione Biden sembrerebbe disposta a chiudere un occhio sui continui attacchi delle forze turche contro i militanti curdi e le sue infrastrutture civili. Dobbiamo registrare che il leader turco sembra aver abbassato i toni delle sue invettive contro Washington ed entrambe le parti sembrano determinate a non permettere che alcuna delle annose criticità esistenti possa far precipitare rovinosamente la preziosa partnership strategica dei due alleati Nato. Così come le posizioni nettamente differenti sul conflitto a Gaza non faranno deragliare l’atmosfera positiva che si è venuta a creare dopo il via libera di Ankara all’ingresso della Svezia nella Nato.
Non vi è dubbio che in questo momento un nuovo approccio pragmatico stia caratterizzando le relazioni tra USA e Turchia. Sono finiti da tempo i giorni in cui Washington si aspettava che Ankara, in quanto membro Nato, si allineasse alle sue politiche. Ora gli Usa riconoscono il desiderio della Turchia di raggiungere l’autonomia strategica allo stesso modo di altre potenze medie come l’Arabia Saudita, l’India e il Brasile. Pertanto, Washington sta cercando – nel contesto della cooperazione competitiva esistente – finestre di opportunità per cooperare con Ankara in nuove aree come l’Africa dove è forza emergente, vista come una valida alternativa alla Cina nell’Africa sub-sahariana e nell’Asia centrale. Gli Usa sanno che la Turchia si comporta come un paese multi-allineato che si siede comodamente dove vuole su qualsiasi questione geopolitica, che si tratti della guerra in Ucraina, del conflitto nel Caucaso meridionale o dell’instabilità in Medio Oriente dialogando indifferentemente con Nato, Russia, Europa, Iran, con le ricche monarchie del Golfo e con altri attori regionali e globali senza sentirsi in dovere di scegliere un partner preferito. Anche nel conflitto in Ucraina sta dimostrando tutta la sua importanza geostrategica. È l’unico paese Nato che dialoga indifferentemente sia con Mosca che con Kyiv. Nei prossimi giorni Erdoğan incontrerà Zelenskyy e tra la fine di aprile e l’inizio di maggio, Putin.
