Omicidio Piersanti Mattarella, perché a Filippo Piritore non chiesero subito conto del guanto? La preoccupazione per le indagini in corso

Niente di personale, ma questa volta aspetto di vedere come finisce, con buona pace dei tempi della giustizia italiana. L’arresto (ai domiciliari) dell’ex prefetto ora in pensione Filippo Piritore con l’accusa di aver depistato le indagini sull’omicidio di Piersanti Mattarella, allora presidente della Regione Sicilia e fratello dell’attuale capo dello Stato. La notizia ha sequestrato il titolo di apertura dei quotidiani e dei talk show invasi dai professionisti dell’antimafia.

Siamo di fronte ad un nuovo capitolo del teorema in cui si è distinta da decenni la Procura di Palermo: le relazioni pericolose tra mafia e politica alla ricerca di quel livello occulto di cui Giovanni Falcone negava inutilmente l’esistenza. Che tra le organizzazioni criminali e la politica intercorrano rapporti di complicità e connivenze è una realtà. Anche un grande statista italiano come Giovanni Giolitti venne accusato da Gaetano Salvemini di essere il ministro della malavita. Ma il teorema della Procura di Palermo è molto più inquietante perché potrebbe essere riassunto come lo Stato criminale, ovvero un assetto statuale intrecciato con la criminalità organizzata fin nei suoi vertici istituzionali e i più delicati apparati.

Il guanto trafugato

Quello intentato a Giulio Andreotti è stato un processo al regime democristiano. L’affaire della trattativa Stato/mafia mise sotto accusa i vertici dei servizi segreti, fino a lambire le più alte autorità della Repubblica. E tutte le volte queste iniziative giudiziarie sono state sostenute da campagne mediatiche fanatiche che finivano per non prendere atto neppure delle sentenze dei collegi giudicanti nelle quali venivano smantellate le argomentazioni delle Procure. Perché di questo si tratta: il teorema è rimasto non dimostrato perché le illazioni non sono mai divenute prove riconosciute in giudizio. Nella vicenda del guanto trafugato vi è il sentore della ripresa di uno dei filoni delle inchieste precedenti e dei personaggi che ne furono coinvolti. Che cosa si è detto subito di Filippo Piritore? L’ex prefetto 45 anni or sono era uno stretto collaboratore di Bruno Contrada, il grande inquisito dalla procura palermitana. Verrebbe da chiedersi perché non gli chiesero subito conto del guanto che aveva in consegna visto che il reperto era già stato individuato come si vede nella foto della Fiat 127 dei killer. Anche l’essersene dimenticati per 45 anni dimostra come non fosse ritenuta una prova particolarmente utile per risalire al dna dell’assassino giacché la prima sperimentazione dell’uso del dna nelle indagini fu eseguita in Inghilterra sei anni dopo quel 6 gennaio 1980, quando venne assassinato Piersanti Mattarella, l’homo novus della politica siciliana. In quel tempo il guanto poteva essere usato come la scarpa di Cenerentola, a meno che gli inquirenti non sapessero che era in arrivo una tecnica investigativa nuova basata sul prelievo e il confronto del dna.

Le notizie alla stampa

Per fornire qualche notizia alla stampa è stata diffusa la registrazione di un colloquio tra Piritore e la moglie, da cui emerge che l’ex prefetto era preoccupato per le indagini in corso. Dunque, si vede – è la morale – che aveva qualcosa da nascondere. Ma non è per nulla strano che una persona sia inquieta quando una procura della Repubblica, con i precedenti di quella palermitana, si occupa di lei. Come ha scritto Filippo Sgubbi: “Si staglia nella giustizia penale sempre più avulsa dalle sue finalità, la responsabilità penale senza colpa (dal binomio innocente/colpevole si passa al binomio puro/impuro). Il reato e la colpa sono uno status che precede la commissione di un fatto”.