Sarà anche normale, di questi tempi, mettere le manette a un prefetto con l’accusa di aver depistato le indagini per un delitto di 45 anni fa, fatto sta che è accaduto.

Siamo a Palermo, anno 2025, e Filippo Piritore, ex funzionario della Squadra mobile e poi prefetto, è da ieri agli arresti domiciliari. Avrebbe fatto sparire, o quanto meno mal custodito, a partire dal 6 gennaio del 1980, data in cui la mafia assassinò Piersanti Mattarella, il guanto dimenticato nell’auto dell’agguato da uno dei killer. Di questo accessorio si ha notizia solo nei primi giorni dal delitto. Quando, secondo la ricostruzione postuma della procura di Palermo diretta da Maurizio de Lucia, il funzionario oggi incriminato lo avrebbe sottratto alle normali procedure e se ne sarebbe in qualche modo appropriato, sballottandolo qua e là tra i diversi uffici, fino a che il guanto era sparito. E mai più ritrovato.

Il prefetto Piritore ha sostenuto, nell’interrogatorio di un anno fa, di averlo affidato a un agente della polizia scientifica di nome Di Natale perché a sua volta lo consegnasse al pm di turno, il giovane sostituto Pietro Grasso. Proprio colui che sarà in seguito destinato a diventare il capo dell’antimafia e il presidente del Senato. Pare però che tutti e due i testimoni chiamati in causa smentiscano questa versione dei fatti. Il che fa scrivere agli inquirenti che Filippo Piritoreha reso rivelazioni rivelatesi del tutto prive di riscontro, con cui ha contribuito a sviare le indagini funzionali (anche) al rinvenimento del guanto (mai ritrovato)”.

Perché sia improvvisamente così importante andare a ricostruire il percorso di sparizione di quel guanto non è facilmente comprensibile. Forse perché il processo per l’uccisione di Piersanti Mattarella, il cattolico siciliano che fu considerato il successore di Aldo Moro, si è concluso solo con la condanna dei componenti della commissione provinciale di Cosa Nostra, cioè i vertici massimi, Totò Riina,
Michele Greco e Francesco Madonia. Di conseguenza, come è capitato in tante inchieste per fatti di mafia, e in parte anche nel maxi di Giovanni Falcone, è stato un processo indiziario, e ha condannato solo per responsabilità “oggettive”. Del resto, anche quando le indagini furono riaperte nel 2017 per seguire la pista politica che portava agli esponenti dei Nar come esecutori materiali, non si fece altro che l’ennesimo buco nell’acqua.

Si è tornati quindi da un anno alla pista degli esecutori mafiosi e su nomi facili facili, come quello di Nino Madonia, pluriergastolano al 41-bis, e quello di Giuseppe Lucchese. Ma a che cosa serve oggi ritrovare quel guanto? Ci mettiamo tutti in laboratorio al servizio dei genetisti come in una Garlasco qualunque? O si sta aspettando i più furbi tra i “pentiti” per fare un po’ di fumo alla ricerca dei “mandanti”, magari di destra? Sul movente di quel delitto la corte d’assise e quella dell’appello avevano sviluppato un ragionamento del tutto politico e legato al momento storico. Avevano ricordato che il presidente della Regione Sicilia aveva avviato “una politica di rinnovamento… e che per primo nella storia della Regione aveva esercitato anche nei confronti del Comune”. Si ricordavano poi storie di appalti contestati e di conflitti con il sindaco Vito Ciancimino, che Mattarella non avrebbe più voluto all’interno della Dc.

Che alla mafia uno come il fratello dell’attuale Presidente della Repubblica non potesse piacere era chiaro. E che, negli anni delle stragi, che durarono ancora per oltre un decennio, si progettasse e realizzasse anche quell’omicidio, era sciaguratamente e purtroppo “normale”. I picciotti a disposizione dei vari Riina non mancavano, si chiamassero o meno Madonia o Lucchese. Era tutto chiaro e coerente. Ma oggi questa ossessione del guanto, con l’arresto del prefetto e persino le intercettazioni in cui lui parla alla moglie del proprio bruciore di stomaco, vergognosamente rese pubbliche, stanno rischiando di trasformare anche una questione che è stata molto seria come la mafia, nell’eterno cold case su cui temiamo che l’editore Cairo stia già allestendo un ape-cena prima di Mentana.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.