Sembrava avere tutte le movenze di un ricordo amicale quello dedicato a Franco Piperno “grande calabrese che ha attraversato la vita politica italiana del 1968” negli Incontri di agosto che da 24 anni Maurizio e Mirella Barracco organizzano nella loro residenza estiva a Camigliatello nel parco “Old Calabria”, e invece l’intervento in video da remoto registrato dal giornalista e scrittore Paolo Mieli ha consegnato alle cento persone presenti in platea una notizia inedita e un giudizio storico sul caso Moro di non poco conto.

Mieli ha iniziato raccontando il suo incontro da liceale con il futuro fondatore di Potere Operaio grazie ad un suggerimento del professor Asor Rosa a Roma nelle temperie del Sessantotto. Una simpatia intellettuale poi coltivata nel tempo ad intermittenza tra un giovane giornalista dell’Espresso e uno del leader più carismatici degli anni Settanta. Nella ricognizione biografica che ha molto evidenziato in positivo il ruolo di Piperno come assessore comunale di Giacomo Mancini ed Eva Catizone a Cosenza sulla fine e l’inizio del secolo non potevano mancare le questioni legate alla vicenda del “processo 7 aprile” che indagarono per reati gravissimi e quasi tutti poi caduti e che videro il fisico calabrese darsi alla fuga prima in Francia e poi in Canada dividendo l’opinione pubblica tra coloro che consideravano Piperno un latitante e coloro che ne vedevano un esiliato per ragioni politiche legati alle idee e noi ai fatti. Le accuse della magistratura contro Piperno non risparmiarono neanche il sequestro e l’omicidio Moro, vicenda in cui il fondatore della rivista Metropoli aveva assunto un ruolo di mediatore tra i socialisti di Craxi e i brigatisti per salvare la vita dello statista democristiano prigioniero.

Sapevamo e abbiamo ricostruito nel corso del tempo che Piperno inseguito da polizia e magistrati fu nascosto e protetto nelle case di Giacomo Mancini, Marco Pannella e dal giornalista Giampiero Mughini e ora si apprende che di quella rete a sostegno del professore che univa la sovversione alla lotta di classe, per sua onesta ammissione ne ha fatto parte anche il columnist del Corriere della Sera, Paolo Mieli, che contribuì a proteggerne la fuga. Era il mondo degli anni Settanta dove le solidarietà erano fattive nei confronti di chi veniva considerato un perseguitato come per esempio fece anche Gianmaria Volontè che con la sua barca trasportò il latitante Oreste Scalzone in salvo verso la Francia accogliente con i sovversivi italiani grazie alla dottrina Mitterand.

Mieli visse da giornalista in prima fila i drammatici 55 giorni del sequestro di Aldo Moro. Era all’Espresso dove erano conosciuti dall’interno i tentativi di Claudio Signorile e Bettino Craxi di aprire una trattativa con le Brigate Rosse attraverso Franco Piperno che aveva avuto un rapporto stretto e personale con diversi militanti brigatisti che provenivano da Potere Operaio. Si sperò di essere arrivati a pochi centimetri dell’esito positivo quando si aspettava il 6 maggio una dichiarazione di apertura del democristiano presidente del Senato Amintore Fanfani che invece delegò il compito al presidente dei senatori Dc Giuseppe Bartolomei che da Arezzo alle agenzie diede il suo pensiero ma in forme che non ammansirono i falchi brigatisti che ebbero facile vittoria sulle colombe.

Paolo Mieli, da testimone del tempo, ma soprattutto da storico ritiene come ribadisce nel video che il tentativo di Franco Piperno di salvare Aldo Moro sia stato quello che più si è avvicinato all’obiettivo che si prefiggeva. In effetti ricordiamo che i tentativi di salvare il prigioniero del Papa Paolo VI, che era stato amico personale di Moro alla Fuci, neanche arrivarono nei covi brigatisti.

Quindi gli incontri di Franco Piperno e Lanfranco Pace con Claudio Signorile in quel 1978 furono il tentativo che più si avvicinò a liberare Aldo Moro. Parola di Paolo Mieli, che proprio di recente, lo scorso 3 agosto commentando la strage di Bologna alla trasmissione “In Onda” ha affermato: «Non esiste una targa, né una sentenza, che dica “qui i comunisti ammazzarono Aldo Moro”. Eppure tutti sappiamo che le Brigate Rosse erano un gruppo terroristico comunista. Se la logica è chiamare le cose con il loro nome, perché la sinistra rifiuta di farlo quando tocca ai propri estremisti?». Frase che sui social ha aperto virulente polemiche tra chi ancora si appassiona a quelle vicende così lontane nel tempo.

E sulla questione Moro segnaliamo anche l’intervista rilasciata da Daniele Pifano al Quotidiano della Calabria-L’altravoce il 14 agosto dove l’ex leader di via dei Volsci di Autonomia operaia ha svelato che mentre era a processo per altri episodi ebbe un abboccamento con il magistrato di area democristiana, Claudio Vitalone, che avrebbe detto: “Pifano che possiamo fare per liberare Moro? Voi non siete per l’uccisione”, ricevendo come risposta: “Possiamo muoverci se esiste qualche iniziativa da parte dello Stato non per contattare le Br, con le quali non abbiamo nessun rapporto, ma per far pesare queste decisioni nelle assemblee del movimento”. Il successivo incontro nello studio di Vitalone a Palazzo di Giustizia e la successiva richiesta di levare i vetri divisori al carcere speciale dell’Asinara per favorire la trattativa non ebbero alcuno sbocco. Il partito della fermezza fu vincitore a tutto campo sul fatto che con le Brigate rosse non si potesse trattare. Aldo Moro non poteva essere salvato per la Ragione di Stato.

Paride Leporace

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