“Questo non è fare la spia. Questo è contribuire a costruire un mondo migliore”: chissà se Federica Sciarelli, presentando con queste parole l’app della Polizia di Stato Youpol, si rendeva conto di aver appena coniato uno slogan da antologia, fulminante e definitivo. George Orwell avrebbe apprezzato, forse avrebbe addirittura tratto spunto per rimaneggiare il suo profetico e celebre romanzo. L’app non è nuova. Fu creata nel 2017 dal ministero degli Interni guidato allora da Minniti, all’epoca con il solo obiettivo di permettere a chiunque di denunciare in forma anonima, con un sintetico messaggino inviato alla polizia, episodi di bullismo. Poi si è aggiunto lo spaccio di stupefacenti e nella primavera scorsa sono arrivate anche le violenze domestiche.

Per ora la lista dei crimini che si possono segnalare in pochi secondi, con un semplice messaggino e meglio se corredate da una foto scattata con lo smartphone, si ferma qui. Ma c’è tempo e non bisogna mai porre limiti né alla provvidenza né alle potenzialità di controllo diffuso offerte dalla modernità. Il passaggio televisivo di mercoledì scorso è importante. L’app, nella sua forma attuale, era in funzione già da qualche mese ma lo sapevano in pochi. Chi l’ha visto è però la vera portaerei di Raitre. Con il suo successo se proprio non tiene in piedi da sola la rete poco ci manca. Gli spettatori, tanti fidelizzati e attivi, sono una comunità attenta e occhiuta, sempre sul chi va là. Si può scommettere che l’uso dell’app sarà d’ora in poi moltiplicato esponenzialmente. Qualche risultato peraltro già si vedeva da un bel po’.

Giusto venerdì scorso due pericolosi conviventi, entrambi sotto i 25 anni, sono stati sorpresi dalla polizia e arrestati, a Torino, per il possesso di 7 dosi di marijuana e di “un frammento di hashish” grazie alla denuncia via Youpol di un vicino. Ieri, sempre grazie al provvidenziale vicino e all’ancor più provvidenziale Youpol è stato assicurato alla giustizia un fiorentino che si coltivava erbetta in casa. In realtà sono stati parecchi, ultimamente, gli arresti dovuti alla denuncia anonima, immensamente facilitata dall’applicazione. La tentazione, in effetti, è forte: i giovinastri del piano di sotto hanno un aspetto sospetto. Non sarà niente, figurarsi, ma per sì o per no perché non avvertire la polizia? La coppia dell’appartamento attiguo strilla e litiga spesso? Un messaggino e se ne occuperà la questura. Come spiegava la conduttrice: “E’ semplicissimo. Basta scrivere, per esempio, ‘In quel parco si spaccià”.

Tempi lontani quelli in cui la Federazione torinese del Pci, allora guidata da Giuliano Ferrara, proponeva di permettere ai torinesi di denunciare chiunque sospettassero di essere un terrorista con appositi “questionari”. Quello scorcio finale di anni ‘70 è davvero preistoria: non perché ci si dovesse ancora affidare ai lenti e vetusti questionari invece di procedere in pochi secondi con lo smartphone ma perché, nonostante l’emergenza terrorismo fosse pervasiva e onnipresente, la proposta del Pci tornese fu giudicata subito indegna di una democrazia e ritirata immantinente. Oggi farebbe furore. La applaudirebbero tutti.

Perché in fondo che c’è di male nel contribuire a rendere il mondo migliore denunciando bulli, spacciatori e picchiatori di donne? Sì certo, di solito il metodo va forte nelle dittature. L’Ovra si avvaleva soprattutto di quella rete di delazioni e denunce che partivano dal basso, dal portiere, dalla vicina di casa, dal negoziante che sapeva tenere occhi e orecchie aperte, e ringraziava per la collaborazione tangibilmente, in lire sonanti. Ancora oggi a Cuba il compito principale dei Cdr, Comitati di Difesa della Rivoluzione, si riduce spesso a sorvegliare gli inquilini sospetti e, come ha dimostrato lo storico Orlando Figes nel suo magistrale The Whisperers, il sistema sovietico , ancor più che sui Gulag e sulle purghe, si basava proprio “sullo stalinismo che pervadeva ciascuno”. In concreto sul diluvio di denunce anonime che piovevano nelle stanze cupe del NKVD. Ma quelle erano dittature, questa è civica difesa della legalità. Non si può mica fare un paragone!

Cosa ci sarà mai di male in un mondo in cui tutti sorvegliano tutti, in cui il controllo è delegato direttamente ai controllati che sono anche, l’uno per l’altro, i controllori? Non sarebbe in fondo una società migliore quella nella quale il sospetto e dunque anche la diffidenza fossero le tonalità emotive egemoni? E perché fermarsi alle pionieristiche tre voci attualmente previste dall’applicazione? In realtà non c’è limite alle possibilità che si dischiudono. Gli insulti colti nell’alterco di turno non rivelano forse umori razzisti o xenofobi inaccettabili? Il tenore di vita della famigliola della porta accanto non potrebbe essere indice di corruzione, evasione fiscale e magari peggio? E se a qualcuno scappa una denuncia, o magari centinaia di denunce, mosse da risentimento o invidia poco male. Effetti collaterali. Parte del prezzo da pagare per costruire un mondo migliore.