“Perché i russi mi hanno sparato?”, il dramma di Sasha la bambina ucraina che ha perso un braccio in guerra

Fino al 23 marzo Sasha, 9 anni, probabilmente non sapeva cosa fosse la guerra. Poi all’improvviso si è trovata in mezzo alle bombe e, qualche giorno dopo, alla pioggia di proiettili che si è abbattuta su di lei e la sua famiglia mentre cercavano di scappare da Hostomel, nei sobborghi di Kiev. I chirurghi le hanno dovuto amputare un braccio per salvarle la vita. Dal suo letto di ospedale dice: “Non so perché i russi mi hanno sparato. Spero sia stato un incidente e che non intendessero farmi del male”.

Sasha stava scappando in auto insieme alla madre, al padre e alla sorella nei sobborghi di Kiev. All’improvviso una raffica di proiettili si è abbattuta su di loro uccidendo il padre. La piccola è stata colpita al braccio e ha perso i sensi. Madre e sorella sono riuscite a mettersi in salvo in una cantina portando in braccio la piccola. Per due giorni Sasha è rimasta priva di sensi, poi è stata portata su una barella improvvisata in un ospedale che sventola bandiera bianca. I medici le hanno dovuto amputare il braccio sinistro perché era in cancrena.

Dal suo letto di ospedale racconta il suo dramma: “Mi hanno sparato al braccio. Sono corsa dietro a mia sorella. Mia madre è caduta. Ho pensato che fosse la fine. Ma non era morta, si stava solo riparando dagli spari. Si stava nascondendo. Poi ho perso conoscenza. Qualcuno mi ha portato in cantina. Mi hanno curato come potevano. E poi alcune persone mi hanno portato in ospedale su un asciugamano”.

La piccola è arrivata dunque al Central Irpin Hospital a Bucha, la città che da giorni è vittima di pesanti attacchi. Il chirurgo vascolare Vladislav Gorbocev ha scoperto che il braccio della piccola stava andando in cancrena e ha deciso di amputarle il braccio sinistro sopra il gomito, altrimenti sarebbe morta. Ed è questa una delle storie di tanti bambini che stanno subendo il costo più grande della guerra.

“Questa ragazza è stata portata al Central Irpin Hospital con ferite terribili – ha detto al Daily Mail il dottor Gennadiy Druzenko, del First Volunteer Mobile Hospital – Le avevano sparato mentre stava evacuando da Hostomel con i suoi genitori. Suo padre è stato ucciso a colpi di arma da fuoco mentre li allontanava dai combattimenti nella sua macchina”.

“È stata gravemente ferita, ha perso conoscenza ed ha iniziato a delirare – continua il racconto del medico – I soldati russi hanno cercato di entrare nella cantina in cui aveva trovato rifugio. Hanno sparato alla porta e hanno urlato alla gente di uscire. Finalmente la ragazza è stata portata in ospedale da civili che sventolavano una bandiera bianca mentre correvano attraverso la zona di battaglia”.

Appena Sasha è uscita dalla sala operatoria e ha aperto gli occhi ha subito chiesto se avesse ancora la mano. “Non sapevo cosa dire. Non sapevo se mentire o dirle la verità”, ha raccontato l’infermiera che si è presa cura di lei. Senza piangere e con coraggio ha ringraziato tutti per essersi presa cura di lei e poi la domanda a cui nessuno è riuscito a trovare risposta: “Perché i russi mi hanno sparato? Spero sia stato un incidente e che non intendessero farmi del male”. Intanto poche ora prima a Hostomel, nella stessa zona in cui è stata ferita lei, i soldati di Mosca hanno aperto il fuoco contro un convoglio di quattro pullman di civili che stavano evacuando. Una donna ha perso la vita. E in quattro sono rimasti feriti.

Sasha come regalo per il suo compleanno ha chiesto un nuovo braccio artificiale, rosa e coperto di fiori. La piccola cercava di fuggire da Hostomel, sobborgo a nord ovest di Kiev, uno dei punti della capitale maggiormente presi di mira perché lì c’è l’aeroporto. I russi non risparmiano nemmeno ospedali e abitazioni civili. In 21 giorni di guerra sono 97 i bambini uccisi e oltre 100 quelli rimasti feriti, secondo la procura generale di Kiev.

“Ho appena trascorso due settimane qui, parlando con alcune delle madri, dei padri e dei bambini che sono fuggiti per salvare le loro vite, e alcuni degli operatori in prima linea che cercano di aiutarli – ha raccontato James Elder, por tavoce dell’Unicef – Quando ho chiesto ai pediatri di Leopoli, che avevano ricevuto 60 bambini dagli ospedali di Kiev durante la notte, come si stessero preparando, mi hanno spiegato la loro procedura per stabilire le priorità: se un gran numero di bambini arriva con ferite di guerra, usano degli adesivi per stabilire le priorità. Adesivo verde: il bambino non è in gravi condizioni; giallo: il bambino ha bisogno subito di assistenza medica; rosso: il bambino è in condizioni critiche; adesivo nero: non c’è niente che si possa fare per salvarlo”. Uno scenario agghiacciante.