Piano da 140 miliardi di Provenzano, prima di investire rafforzare le imprese in crisi

C’è un errore di fondo quando si affronta il tema della recessione causata dal Covid. O, meglio un malinteso, finto naturalmente. Il problema delle imprese oggi non sono gli investimenti. Il problema preliminare e urgente è come rientrare dagli investimenti già effettuati. Il problema, insomma, è la ripresa della domanda. Le imprese hanno visto sconvolti i loro piani preventivi del 2020 e non sono in grado di programmare un bilancio per il 2021 e 2022. Per far fronte a queste incertezze sono state approntate, da un lato, misure di sostegno a pioggia e, dall’altro, rinvii di pagamenti e scadenze. I problemi sono momentaneamente accantonati.

Oggi le imprese sono ferme. Spesso fisicamente (non aprono o non producono), ma anche nei progetti. E l’incertezza è il peggior nemico degli imprenditori sani. Poi vi sono gli imprenditori speculatori che ci vanno a nozze, ma questo è un altro capitolo. E vogliamo parlare delle banche? Invitate o costrette a fare credito a un sistema delle imprese che non ha la certezza di poter rimborsare il credito ricevuto, che non ha un bilancio meritevole di credito? Qualcuno si preoccupa della crisi inesorabile cui sta andando incontro il sistema bancario, dei suoi effetti e delle sue ricadute sui risparmiatori?

La parola magica oggi è diventata: investimenti. In realtà, prima degli investimenti occorrerebbe rafforzare le imprese che devono fare questi investimenti. Come? Dando maggiore impulso alla domanda corrente di beni e servizi, con iniezioni di liquidità ordinaria. La liquidità straordinaria per gli investimenti viene dopo. Oggi servono risorse ordinarie, innanzitutto rafforzando settori come sanità, trasporti e giustizia. Si possono rinviare i pagamenti, ma i processi? Anche qui incertezza massima. Le imprese restano in attesa di sentenze su appalti e risarcimenti. Incertezza vuol dire rinvio delle decisioni, impossibilità di chiudere in maniera seria i bilanci, di portare avanti gli investimenti già programmati e finanziati. Uno scenario complicato, dove – sia chiaro – le soluzioni sono altrettanto complicate.

Ma la soluzione a tutti i problemi non può essere soltanto “nuovi investimenti”. Chi deve realizzare questi investimenti? Quali soggetti, quali competenze, con quali rischi? Parliamo dei trasporti, per esempio. Nel 2020 tutte le imprese perdono milioni di ricavi da traffico, circa il 60% rispetto al 2019. A queste imprese il Governo ha promesso ristori per un terzo di quello che perdono. E gli altri due terzi? La struttura dei costi è rigida, anche perché alle aziende si chiede di mantenere inalterato il servizio, trasportando, anche a regime (domani, quando la domanda riprenderà) soltanto il 50% dei clienti (la famosa capienza). Una equazione irrisolvibile. Che resterà tale anche nel 2021. I bilanci traballano, ma a queste imprese traballanti si chiede di realizzare investimenti. Ci sono le risorse straordinarie ma mancano le risorse ordinarie. Mancano le fondamenta degli investimenti stessi. La soluzione? Incrementare il fondo nazionale trasporti, ridotto negli ultimi dieci anni del 20% in particolare al Sud, dove tutte le imprese, da Roma alla Sicilia, già prima del Covid erano in crisi.

La verità è che la pandemia ha mostrato il re nudo. La sanità, come i trasporti e la giustizia, sono servizi essenziali irrinunciabili, vanno potenziati e non giudicati con criteri meramente ragionieristici. Le risorse vanno gestite con efficacia ed efficienza, ma devono essere adeguate agli obiettivi politici prefissati. In questo scenario parlare di centinaia di miliardi per gli investimenti equivale menare il can per l’aia. Sono certamente importanti, ma non vanno disgiunti da una robusta iniezione di risorse ordinarie. Con il Covid si è abbandonata la politica del rigore e si è presa a tutta velocità la strada del debito. Necessario. Ma creiamo le condizioni che questo debito sia davvero spendibile, gestibile e rimborsabile. Altrimenti questa politica rischia di essere una nuova tegola, soprattutto per i più deboli, i giovani e il Sud.