La recensione
Plotoni d’esecuzione mediatica, un libro per dire basta
Al Riformista lo diciamo da sempre: il giornalismo dei plotoni di esecuzione mediatico-giudiziaria sono il male assoluto. Bisogna usare cautela, verifica, dubbio e non pretendere di scrivere ogni giorno un romanzo criminale. “La Condanna mediatica”, un pamphlet uscito in questi giorni per Licosia editore, prova a mettere ordine. L’intreccio tra bene e male, potere e corruzione, ambizione e denaro sono la miscela ideale per una narrazione di successo. E perché una storia con questi ingredienti stia in piedi, è necessario che poggi su un colpevole. Il Mostro piace, tira sempre.
Il colpevole, il reo, l’imputato (e spesso anche il semplice indagato) è la figura di riferimento dello storytelling. E quando non c’è un colpevole vero, bisogna trovarne uno verosimile. Far ballare un’ombra: un sospettato sul quale gettare fango, magari sperando che qualcosa di illecito l’abbia commesso davvero. Il paese che ha condannato Enzo Tortora non ha ancora imparato niente da quella lezione. Il popolare conduttore televisivo venne messo nel tritacarne dell’informazione senza che nessuno, tra i professionisti dei giornali, realizzasse di essere caduto in una trappola.
La condanna mediatica arriva prima e va sempre oltre quella giudiziaria. Il “tribunale della stampa”, per non parlare di quello della rete, giudica con sentenza inappellabile e definitiva il Colpevole (che poi spesso si rivela innocente). Il sospettato diventa indiziato, e molto prima che vi sia una sentenza definitiva ecco che la campagna di demolizione della reputazione parte con le armi affilatissime dello shitstorming. Il malcapitato non riuscirà – se non dopo mille peripezie – a scrollarsi il fango di dosso. Mentre si cerca di declinare in legge il principio della presunzione di innocenza, tra le proteste del sindacato dei giornalisti, la crisi di vendite dell’editoria tramuta lo strumento di analisi dell’informazione in una lente che deforma la realtà: ogni giorno esige un suo mostro in prima pagina, un caso criminale che faccia moltiplicare i clic. L’innocenza non rileva. Interessa poco. Come le buone notizie, che non a caso nei film arrivano per ultime.
In questo volume, curato dal nostro collega del Riformista, Aldo Torchiaro, insieme al giornalista si occupano della questione quattro interlocutori che affrontano il prisma della character assassination secondo angolature e competenze diverse. Si confrontano l’avvocato Giorgio Varano, dell’Unione delle Camere Penali; la giornalista Valentina Angela Stella, che scrive per Il Riformista e per Il Dubbio; il civilista Salvatore Ferrara, esperto in questioni legate ai reati dell’informazione; il deputato Enrico Costa, già Viceministro della Giustizia nel governo Renzi, “padre” della legge sulla presunzione di innocenza.
Le loro considerazioni fanno da cornice al focus di un caso che secondo Torchiaro rappresenta oggi uno dei più eloquenti, nella sua semplicità: un cittadino incensurato, Antonio Velardo, che viene riconosciuto innocente dai tribunali e contemporaneamente colpevole dalla rete. Un caso rappresentativo della deriva che ha preso l’informazione: il giovane imprenditore è entrato e uscito in una inchiesta del Procuratore Gratteri, che lo ha scagionato. Ma rimane nel mirino dei sospetti e viene dipinto nelle inchieste giornalistiche con coloriture gratuite, farcite di stereotipi e di pregiudizi. Ed ecco che il libro diventa un manuale di fact-checking: esamina le accuse contro Velardo e punto per punto, le mette a confronto con la realtà.
L’avvocato Giorgio Varano lancia una serie di stimoli per il legislatore: “Un Garante dei diritti delle persone sottoposte ad indagini e processo sarebbe realmente quel soggetto “terzo” capace di tutelare i diritti di chi viene sottoposto ad un processo mediatico e di chi viene potenzialmente esposto allo stesso da atti della magistratura violativi dei principi declinati dalla direttiva europea e dalle norme nazionali, ma anche da tutta quella serie di “atti extraprocessuali” di cui vengono inondati i media e i social network. Al Garante dovrebbe essere dunque riconosciuta anche la legittimazione attiva nel richiedere al giudice la correzione dei provvedimenti, anche d’ufficio e non solo su segnalazione dell’interessato, e la possibilità di adire in via diretta l’Autorità garante per le comunicazioni, le cui competenze andrebbero ampliate”.
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