La previsione
Pnrr, l’Italia non spenderà 120 miliardi. Ora il governo deve trattare una soluzione con l’Unione Europea
Pochi giorni fa il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, in un’intervista ricordava che era cominciato con anticipo quello che io chiamo il “pellegrinaggio autunnale” dei vari ministri in cerca di richieste di risorse da inserire nel redigendo disegno di legge di stabilità 2026. Il titolare del Mef precisava che non sarà facile assicurare adeguate risorse se si tiene conto della serie di spese sostenute e, soprattutto, della serie di vincoli obbligati imposti dall’Unione europea.
D’altra parte, se esaminiamo il primo semestre 2025 scopriamo che il ministro Giorgetti ha ricevuto gli apprezzamenti a livello internazionale per la corretta gestione della spesa pubblica e per il corretto rispetto dei vincoli imposti proprio dalla Ue. Questa linea strategica sicuramente sarà seguita anche nel prossimo anno, perché Giorgetti è convinto che il contenimento del debito pubblico rappresenti il risultato più apprezzabile dell’attuale esperienza di governo, e al tempo stesso forse è l’unica azione che – ridimensionando il peso degli interessi da pagare sempre legato all’indebitamento – può produrre vantaggi reali nell’assetto dell’intera economia del Paese.
Ma questa obbligata constatazione non può non tener conto di un incredibile paradosso, e cioè quello di non poter usare 120 miliardi di euro proprio in un momento di corretta scelta nella gestione della spesa pubblica. L’ipotesi che il governo porta avanti nella revisione del Pnrr non credo possa salvare quel rilevante volano di risorse.
Ebbene, pochi giorni fa la sintesi della relazione del ministro Tommaso Foti portava ai seguenti due dati: “Pagamenti Pnrr per 64 miliardi, restano 130 miliardi”; se confrontiamo tale dato con il mio quadro previsionale, risalente all’autunno del 2022, troviamo una conferma dettagliata proprio con lo stato di avanzamento prodotto dal ministro Foti. Aver previsto questi risultati non lo ritengo affatto un mio merito: era un convincimento facilmente difendibile, perché l’intero impianto programmatico – prodotto dal governo Conte e dal governo Draghi – non conteneva una governance unica, elaborati progettuali supportati da misurabili processi autorizzativi, cronoprogrammi che in partenza assicurassero il completamento delle opere entro il 30 giugno 2026. Per cui è stato davvero facile poter quantificare, analizzando i singoli comparti, una concreta attivazione della spesa al 30 giugno 2026, non superiore ai 90 miliardi di euro.
Il volano di risorse pari a 191,5 miliardi (68,9 a fondo perduto e 122,6 finanziati tramite prestiti) – a cui si aggiunge l’importo di 30,6 miliardi attraverso il Fondo complementare e che su preciso indirizzo della Ue deve rispettare le stesse logiche e le stesse scadenze del Pnrr – vede un residuo di risorse non spese pari a 135 miliardi di euro. Cosa fare ora? Chiedere subito all’Unione europea di aprire un confronto diretto, in cui il nostro Paese ammette l’impossibilità di rispettare la scadenza dell’intero impianto programmatico; trasformare le risorse a fondo perduto, pari a circa 28 miliardi non spendibili dei 68,9 autorizzati, in prestito con un tasso di interesse da definire; aumentare i tassi dei 52 miliardi di euro dei 122,6 autorizzati inizialmente, mantenendo inalterati i tassi dei 20 miliardi dei 30,6 miliardi del Fondo complementare; fissare il 30 giugno del 2028 come scadenza definitiva di tutta l’operazione. Ogni ipotesi alternativa rischia di configurarsi come un imperdonabile fallimento, che peserebbe moltissimo nel bilancio conclusivo dell’attuale legislatura.
Leggendo attentamente le possibili opere che potranno essere inserite nel Pnrr in modo da rispettare la scadenza del 30 giugno 2026, trova conferma un elemento: non sarà possibile raggiungere un simile obiettivo. Ho anche cercato di capire come possa essere possibile dare copertura alle opere stralciate dal Piano, e supportate quindi da risorse del bilancio pubblico: mi sono convinto che queste coperture potranno essere garantite solo a partire dal 2028 o addirittura dal 2030, cioè dopo quasi 4 anni dalla fine dell’attuale legislatura. Voglio concludere però con un approccio positivo e ricordare che con l’eredità lasciata dai governi Conte I, Conte II e Draghi è stato davvero un miracolo spendere, in questi anni di governo Meloni, 90 miliardi di euro. Bisogna evitare ora di commettere un grande errore strategico disegnando un irrealizzabile “Pnrr due”.
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