Politica
Sindacalisti arruolati in politica, un (mal)costume consolidato: oggi scandalizzarsi per Luigi Sbarra è una ipocrisia

Nulla contro la persona di Luigi Sbarra. Intendiamoci. Tanto più dopo il cicaleccio che alcuni suoi ex colleghi sindacalisti hanno scatenato dopo la sua nomina a sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con delega per il Sud. Si potrebbe eccepire sul tempismo? Forse. Quasi in una “sliding door” Sbarra esce dal vertice della Cisl in febbraio e a giugno si siede a Palazzo Chigi, e non su uno strapuntino. Era opportuno?
Lo “scandalo”
Ma certe raffinatezze si addicono a palati delicati, non certo a chi ha voluto esibirsi in commenti (da Annamaria Furlan a Savino Pezzotta) o a chi ha voluto negarli (come Pierpaolo Bombardieri), facendo intendere di essere un garbato testimone di un malcostume e non un nome in una lista del futuro. Un caso per volta. Annamaria Furlan è stata segretaria generale della Cisl dal 2014 al 2021. Dal 2022 è diventata senatrice del Pd. Che senso ha il suo “scandalo”? Solo perché Sbarra ha scelto una parte avversa alla sua? La sindrome del “migliore” avrebbe dovuto esaurirsi con Palmiro Togliatti e invece si propaga ancora nella cultura di molta sinistra di oggi. Di più. La senatrice, ex sindacalista, aggiunge: “Avevo scelto Sbarra per la mia successione nella Cisl, ma adesso mi ha delusa”. E perché? Perché ha scelto Giorgia Meloni, invece di Elly Schlein? E poi anche questo approccio sulla scelta del successore, la dice lunga: gli imperatori romani adottavano come figli coloro che sceglievano come successori, anche se lontani da percorsi dinastici familiari. Nel sindacato ci saremmo augurati che vigessero norme democratiche: un bel voto, una maggioranza ed è finita lì.
I precedenti
E che cosa dire di Savino Pezzotta, che guarda con disgusto alla scelta di Sbarra? Dopo sei anni alla segreteria della Cisl, nel 2008 Pezzotta viene eletto in Parlamento nell’Udc. Il fatto che la sigla oggi si confonda, nel pulviscolo post-Dc nell’orbita del Pd, non toglie nulla al giro di giostra che anche lui si è concesso, candidandosi pure (nel 2010) come possibile presidente della Regione Lombardia, dove perse la corsa elettorale. Si tratta di un costume consolidato. Dal sindacato alla politica il passo è breve. Brevissimo. Non da oggi. Il rosario dei nomi è ricco. Oltre ai due già enunciati (Furlan e Pezzotta) si possono calare gli “assi”: Sergio Cofferati, il “Cinese”, lasciò la leadership della Cgil per scendere in campo (usiamo apposta l’espressione berlusconiana) per fare prima il sindaco di Bologna, poi per dieci anni il parlamentare europeo del Pd.
Alla Cgil gli succedette Guglielmo Epifani, che poi si dedicò al Pd, addirittura come commissario-segretario, non solo come parlamentare. Poi è stata la volta di Susanna Camusso, che assume lo scettro della Cgil, dopo Epifani, e seguendo le tracce dei suoi predecessori approda al Senato della Repubblica, ovviamente per il Pd. Potremmo aggiungere Cesare Damiano, che dal vertice della Fiom diventa ministro nel secondo Governo Prodi, sedendo per dodici anni al Parlamento, in quota Pd. Ma non ci sono solo i nomi della Cgil. L’elenco impone di rammentare Giorgio Benvenuto, Franco Marini, Sergio D’Antoni, fino ai più recenti casi di Renata Polverini o di Claudio Durigon: tutti sindacalisti, di diverse sigle e organizzazioni sindacali, che hanno trovato un approdo comodo e sicuro nella vita politica attiva.
L’ipocrisia
Il rapporto tra organizzazioni sindacali e partiti è forte e consolidato. Scandalizzarsi per Luigi Sbarra sarebbe una ipocrisia. È piuttosto lecito chiedersi se questo arruolamento massiccio nei quadri della politica abbia fatto bene al movimento sindacale, o alla politica. Nel caso della vita dei partiti la risposta è semplice: non pare che la vita politica sia oggi al suo apice, per competenze e profili personali professionali. Non c’è nostalgia, ma capita spesso di sentire chi rimpiange i “cavalli di razza” della Prima e anche della Seconda Repubblica.
Per quanto riguarda il mondo sindacale basterebbe misurare l’adesione dei lavoratori alle organizzazioni. Piuttosto bassa. D’altronde la contrattazione – che storicamente è stata una delle prerogative del sindacato – non sembra essere tra le priorità attuali di Landini & co. L’attuale leader della Cgil ha provato un percorso diverso: invece che immaginarsi un futuro politico nel Pd, ha tentato di crearsi un futuro politico in proprio, anche utilizzando – malamente – l’ultima occasione referendaria. Non gli è andata bene. E oggi reclama la necessità di una riforma elettorale. Antonio Di Pietro avrebbe detto: “Che c’azzecca la riforma elettorale con il sindacato?”.
© Riproduzione riservata