L'intervista
Pina Picierno: “Il Pd è tutto da rifare. Sul lavoro è mancata la voce dei riformisti. Io sotto scorta? La nostra democrazia è sotto attacco”

La vicepresidente del Parlamento europeo, la dem Pina Picierno, può contare ancor più che sulla carica istituzionale sulla carica personale. La grande energia che la porta a metterci tutta sé stessa, sulla Difesa europea contro la guerra di conquista di Putin e sui dossier internazionali più caldi. Un’energia che l’ha messa nel mirino di qualche entità ostile, tanto da dover adottare un servizio di scorta.
Picierno, prima di tutto solidarietà per le minacce subite. Sappiamo che le è stata assegnata una scorta. Che succede, in che clima viviamo?
«La ringrazio per la solidarietà e per la vicinanza che il vostro giornale mi ha più volte espresso. Quando la cifra stilistica della contrapposizione politica diventa l’odio e la mostrificazione dell’avversario, le spirali d’odio possono prendere delle variabili incontrollabili. Nel mio caso tutto questo è anche frutto di una saldatura tra ambienti diversi. La lotta all’antisemitismo e alle interferenze putiniane in Italia ha generato infatti un susseguirsi di minacce. La nostra democrazia in Italia e in Europa è sotto attacco e occorre mettere questo in cima alla scala delle priorità della nostra azione politica».
Il referendum è andato male, ma non funzionano neanche le «acrobazie numeriche», come le ha definite lei stessa. Serve un bagno di realtà, e forse di umiltà?
«È arrivato il momento di cambiare approccio rispetto al modo di affrontare la verità con gli italiani. Credo ci sia stanchezza verso questa abitudine ad indorare pillole. Vale per il governo e per la situazione difficile in cui versa la produzione, il potere d’acquisto, le condizioni del lavoro nel nostro Paese. Vale anche per noi e la difficoltà oggettiva nella quale ci dibattiamo per costruire l’alternativa. Il mondo è quello che è. Sta prendendo una direzione che non abbiamo cercato. Ora si tratta di affrontarlo consapevolmente o sostituirlo con le nostre illusioni».
Il Pd ha subìto il traino dei Cinque Stelle e di Landini… È mancata la voce dei riformisti, sui quesiti sul lavoro?
«Indubbiamente. Essere riformisti in Italia è più complicato che altrove. Abbiamo una grande tradizione di riformatori, ma il riformismo ha fatto sempre fatica ad affermarsi. Federico Caffè parlava non a caso di derisione di cui siamo oggetto. Ma non è un valido motivo per ridurre le ambizioni di una proposta di governo in grado di cambiare radicalmente il Paese e le sue resistenze all’innovazione sociale. Non si tratta di essere più o meno fermi nella difesa di una stagione passata, che ha oggettivamente mostrato limiti ed errori. Nel Paese emerge una domanda nuova di rappresentanza di aspirazioni e necessità. Va interpretata e rappresentata in maniera nuova. Non basta autoproclamarsi riformista per utilizzarne qualche beneficio al momento opportuno. È quotidianità».
Manca una visione di futuro, nella contestazione quotidiana al governo Meloni: la sinistra autoconservativa raccoglie i suoi elettori ma non sa, non può andare oltre?
«Quando un giovane lascia il Paese perché vede limitata la sua competenza, non c’è risposta nel passato che possa convincerlo a restare. Anzi, è proprio il motivo per cui parte. Quando si vuole aprire un’azienda e la prima domanda che ci si deve porre non è la sostenibilità o il futuro mercato dell’iniziativa ma quanti uffici protocollo deve affrontare, una volta su due si lascia perdere. Quando un lavoratore nota che le proprie capacità in Italia, a parità di costo della vita, sono pagate la metà, scappa portandosi dietro baracche, burattini e capacità. La destra non sarà mai capace di dare risposte. È il nostro spazio vitale».
Questa notte Putin ha aggredito l’Ucraina con una pioggia di missili. Bisognerebbe metterlo con le spalle al muro facendo applicare nuovi pacchetti di sanzioni, ma anche ragionando di deterrenza.
«Tutto quello che è necessario. Putin sta giocando al continuo rialzo in ogni pur minima ipotesi di confronto diplomatico. Questi memorandum compaiono, scompaiono, vengono scritti con l’inchiostro simpatico. Un giorno vuole mezza Ucraina e determinare il governo dell’altra metà come a Vichy, un altro rinvia alle calende greche i tavoli. Solo chi non vuole capire, non capisce. Ha la stessa testa di due anni e mezzo fa. Sovvertire l’ordine mondiale costruito sul diritto, ristabilire influenza nei Paesi del vecchio blocco, minacciare l’Europa e la sua integrazione».
Di potenziare la Difesa in Europa non si può neanche parlare. Sulle politiche fiscali, sul ceto medio, poco e niente. Come si costruisce e come si rappresenta agli occhi dell’elettorato più ampio un’alternativa credibile di governo?
«Con un discorso di verità. Il mondo è profondamente mutato. Le sue relazioni pacifiche sono compromesse. Le sue coordinate produttive e finanziarie sono rivoluzionate. I rapporti di forza globali sono definitivamente stravolti. Non è l’apocalisse. Ma nulla ci consente di adagiarsi su versioni di comodo. La polarizzazione del dibattito pubblico a cui stiamo assistendo non aiuta ad affrontare nessuno di questi ambiti. È la principale responsabilità che addebito all’esperienza di governo della destra. In cui però ci siamo tuffati con tutte le scarpe. Primo: un’Europa e un’Italia più competitiva. Senza chiacchiere, con risorse, semplificazioni, ricerca ed equità fiscale. Secondo: autonomia strategica e di difesa del continente. I rischi si moltiplicano, in ogni attività, e se non si interviene rischiamo di non mettere mai un punto. Terzo: tutela e protezione dei più deboli dalle spirali di povertà. Se il lavoro in Italia non basta più per evitarle, i dati sulla crescita dell’occupazione restano fredda statistica».
Tempo di fare una verifica necessaria, nel Pd. Un congresso, non solo una conta: perché serve un chiarimento sulla linea politica…
«Né conte, né ritualità. Serve riflettere e rivedere, con serietà, perché è emerso con tutta chiarezza che le risposte offerte fino ad oggi sono parziali».
© Riproduzione riservata