Affluenza al 30%: al via lo scaricabarile
Referendum flop, inizia la guerra dei numeri: “Più degli elettori di Meloni…”. Landini non si dimette, Schlein asfaltata dalle eurodeputate dem

Affluenza al referendum poco sopra il 30% per un totale di circa 14 milioni di votanti. Il quorum del 50%+1 si è rivelato un miraggio mentre a urne chiuse e spoglio quasi ultimato inizia la caccia agli sconfitti tra fuoco amico e conteggio preciso degli elettori che hanno votato “si” ai cinque quesiti (quattro sul lavoro, uno sulla cittadinanza italiana) per capire se superano i 12 milioni e 300mila voti che nel 2022 hanno mandato a palazzo Chigi Giorgia Meloni. E’ la politica italiana, purtroppo. Nessuna assunzione di responsabilità, nessuna autocritica perché la colpa è sempre di qualcun altro.
Il flop di Landini e di mister reddito Conte
Da una parte la sinistra trascinata dalla Cgil di Maurizio Landini (probabilmente il vero sconfitto) che raccoglie firme per un referendum considerato “vecchio” perché il lavoro non è più quello di 30 anni fa: oggi le priorità sono salari più alti, tassazione per aziende più bassa e maggiore flessibilità. Un referendum che ha provato a cavalcare anche Giuseppe Conte, leader di quel Movimento 5 Stelle lontano anni luce dal mondo del lavoro ‘grazie’ a reddito di cittadinanza e superbonus vari che ha elargito quasi ad occhi chiusi negli anni passati.
Fazzolari esulta (forse) troppo presto
Dall’altra c’è un centrodestra che ha soffiato sull’astensionismo, con la premier Giorgia Meloni che ha sfilato al seggio elettorale senza raccogliere le schede e che canta vittoria senza nemmeno aspettare i dati definitivi, basandosi solo sul mancato raggiungimento del quorum. Vanno lette in quest’ottica le precipitose dichiarazioni di Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega per l’Attuazione del programma di governo, battute dalle agenzie alle 15.15, un quarto d’ora dopo la chiusura dei seggi. “Le opposizioni hanno voluto trasformare i 5 referendum in un referendum sul governo Meloni. Il responso appare molto chiaro: il governo ne esce ulteriormente rafforzato e la sinistra ulteriormente indebolita” le sue parole.
Le percentuali dei cinque quesiti: per uno su tre “no” a cittadinanza
Tornando ai numeri, i quattro quesiti sul lavoro hanno superato abbondantemente l’80% dei “si”: 86% per il quesito 1 (reintegro), 84% per il quesito 2 (indennità), 85% per il quesito 3 (contratti a termine), 84% per il quesito 4 (responsabilità infortuni sul lavoro). Discorso diverso per il quinto quesito, quello sulla cittadinanza italiana che prevedeva il “dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana”: qui un italiano su tre ha votato “no”.
Regioni, Toscana la meno peggio. Calabria e Sicilia non pervenute
In nessuna regione d’Italia è stato raggiunto il quorum, quelli più virtuose, si fa per dire, sono Toscana ed Emilia Romagna che hanno sfiorato il 40%. Discorso opposto per Calabria e Sicilia dove poco più di un cittadino su cinque, avente diritto di voto, lo ha esercitato. L’elenco è da brividi: c’è la Toscana con oltre il 39% di affluenza, seguita dall’Emilia Romagna al 38%, poi Liguria e Piemonte con il 34,5% circa, Marche (32,7%), Umbria (31,3%), Basilicata (31,1%), Lazio (31%), Lombardia (poco meno del 31%), Abruzzo (29,8%), Valle d’Aosta, Campania (29,%), Puglia (28,5%), Molise (27,8%), Friuli Venezia Giulia (27,5%), Sardegna (27%), Veneto (26,3%), Trentino Alto Adige (22,5%), Calabria e Sicilia (appaiate al 22/23%).
Landini e la “crisi democratica”
Tornando alle dichiarazioni politiche, la priorità va al leader della Cgil Maurizio Landini consapevole “che non sarebbe stata una passeggiata in una Paese con una crisi democratica evidente”. Per il segretario del più grande sindacato italiano “il nostro l’obiettivo era raggiungere il quorum, è chiaro che non lo abbiamo raggiunto. Oggi non è una giornata di vittoria. Contemporaneamente gli ultimi dati ci dicono che sono oltre 14 milioni le persone che hanno votato nel nostro paese cui si aggiungeranno gli italiani all’estero: un numero importante, un numero di partenza. I problemi che abbiamo posto con i referendum rimangono sul tavolo”. Per Landini occorre ripartire da chi è andato a votare: “C’è un terzo di questo Paese, tra i 14 e i 15 milioni di persone che hanno votato, che pensa che sui temi del referendum servano risposte precise e chiede di cambiare. Questo mese e mezzo ci ha permesso di rimettere al centro il tema del lavoro e dei lavoratori”.
Schlein e il “boomerang” che non ha visto arrivare
Alle parole del sindacalista (che respinge le dimissioni: “Non ci penso neanche lontanamente, non credo sia oggetto di discussione”), seguono quelle di Francesco Boccia, capogruppo Pd al Senato, che al Tg1 lancia il conteggio: “E’ la destra che ne esce perdente. Giorgia Meloni è a palazzo Chigi con 12 milioni e 300mila elettori. Hanno votato 15 milioni di persone (dato da confermare, ndr) e diamo il valore che meritano gli elettori, hanno partecipato per dare un messaggio”. Non la pensano così due eurodeputate dem, già da tempo in forte opposizione con la linea del partito guidato da Elly Schlein. “Una sconfitta profonda, seria, evitabile. Purtroppo un regalo enorme a Giorgia Meloni e alle destre. Fuori dalla nostra bolla c’è un Paese che vuole futuro e non rese di conti sul passato. Ora maturità, serietà e ascolto, evitando acrobazie assolutorie sui numeri”, tuona Pina Picierno sui social.
Rincara la dose Elisabetta Gualmini: “Aver mobilitato tutto il partito (democratico), tutti i circoli, tutti i dirigenti su un referendum che doveva “correggere gli errori del vecchio Pd” si è rivelato un boomerang. Un referendum politico contro se stessi. Aver rotto l’unità sindacale in una rinnovata cinghia di trasmissione con un solo sindacato (Cgil), pur con rispetto, un altro errore. Con quesiti rivolti al passato e pochissimo legati alle patologie del mercato del lavoro di oggi. Doveva essere uno sfratto a Meloni. Non pare vada cosi. Auguriamoci almeno una discussione franca magari anche con quelli del vecchio Pd». Lo scrive sui social l’eurodeputata Pd Elisabetta Gualmini.
La politica sui costi
Dopo Fazzolari, anche il partito di Meloni (Fratelli d’Italia) canta vittoria (“L’unico vero obiettivo di questo referendum era far cadere il Governo Meloni. Alla fine, però, sono stati gli italiani a far cadere voi”) aggiungendo anche una card in cui si vedono abbracciati su un palco Riccardo Magi, Giuseppe Conte, Angelo Bonelli, Elly Schlein e Nicola Fratoianni con la grande scritta Avete perso'”.
Tajani, vicepremier, ministro degli Esteri e leader di Forza Italia, guarda alle casse dello Stato: “Forse bisogna cambiare la legge sui referendum, servono probabilmente più firme, anche perché abbiamo speso tantissimi soldi per esempio per portare centinaia di migliaia, milioni di schede per gli italiani all’estero che sono tornate bianche”. Secca la replica di Landini: “Sì, la democrazia costa. Mi dovrei preoccupare che per ridurre i costi non si debba andare a votare?”, domanda ricordando che “avevamo chiesto si votasse insieme alle comunali, al primo turno”.
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