Alle 23 affluenza intorno al 22%, quorum lontanissimo. Si vota fino alle 15 di lunedì 9
Referendum abrogativo 8 e 9 giugno, votare sì vuol dire aprire le porte all’incertezza normativa. Se nessuno fa più riforme sul Lavoro…
Più che un referendum si dovrebbe parlare di politiche industriali e, definite queste, rivedere in modo organico il sistema di regole volte a disciplinare un lavoro che i più giovani percepiscono in modo assai diverso da chi ne parla sui giornali

Ferruccio de Bortoli ha scritto che i referendum sul lavoro arrivano sempre in ritardo; ha ragione, aggiungo anche in modo disordinato. E forse per questo non raccolgono l’interesse per il merito di quel che propongono. Troppo spesso nel promuoverli la politica non pensa alle conseguenze sistemiche di un sì o di un no, di modo che i referendum hanno assunto nel senso comune la dimensione percettiva odierna: strumenti di divisione politica anziché luogo di esercizio responsabile del più potente strumento di democrazia che ci è dato in uso per Costituzione.
Veniamo al punto: votare no ha un senso prima di tutto guardando al complesso delle regole che disciplinano il mondo del lavoro. Piaccia o no, il Jobs Act rappresenta l’ultima vera riforma delle regole del lavoro, organica e strutturata. Aveva una finalità chiara, un indirizzo preciso e metteva in campo la strumentazione utile per raggiungere gli obiettivi che il legislatore del tempo si era dato, e cioè portare l’Italia definitivamente fuori dalle paludi della crisi del 2008. L’efficacia di una norma la si vede per quel che ottiene nel tempo, e oggi l’Italia è in una situazione migliore di 10 anni fa. I problemi di oggi sono connessi ai salari, alla perdita del loro valore di acquisito, alla scarsità di risorse umane per coprire le posizioni offerte, ma sono questioni indipendenti dalle norme sul licenziamento illegittimo o quelle sulle causali dei contratti a termine.
Un “si”, in questo senso, appare sul piano giuridico un atto irresponsabile: abrogando le norme sui licenziamenti illegittimi come quelle sulle causali si restituisce all’ordinamento un panorama normativo amputato, che obbliga a riallacciare le disposizioni che rimangono con modalità interpretative lasciate alla magistratura.
Ne consegue uno scenario di incertezza normativa pregiudizievole per le aziende, perché nei fatti messe in condizioni di non poter prevedere come orientare le proprie scelte gestionali; per i capitali, notoriamente allergici a sistemi inutilmente complicati e imprevedibili; più di tutti per i lavoratori, perché il peso delle incertezze sono sempre loro a pagarlo, in termini di tensione sui costi, riduzione delle opportunità di impiego, sviamento all’estero di impegni imprenditoriali. Eliminare un sistema di norme dall’ordinamento, come si pone il referendum, non è un’operazione di taglia e cuci, è qualcosa di più complesso che impatta sull’affidabilità di un paese nella sua dimensione di sistema economico-produttivo. Tanto più se alla proposta abrogativa la stessa parte proponente non ha idee da offrire se non l’introduzione di vincoli (ai licenziamenti, alle assunzioni a termine) che si pretende di vendere alle persone come forme di garanzia ma che, sul piano tecnico, non lo sono affatto.
Un’azienda potrà sempre licenziare e la reintegra non è vero sia stata “cancellata” dal Jobs Act: la Corte Costituzionale ha reso quella norma coerente con il nostro sistema di tutele, facendo in modo che ogni lavoratore può aspirare, se ha subito un torto, alla reintegra nel posto di lavoro oppure ad una indennità economica variabile da 6 a 36 mensilità. Le causali nei contratti a termine non è vero sono causa di precarietà: uno stesso datore non può avvalersene più di 12 mesi e il numero di “confermati” è più alto di coloro che non lo sono, sicché il meccanismo ha assunto la funzione di strumento di ingresso agevolato al mondo del lavoro e tiene in piedi interi settori ad alta intensità occupazionale come, ad esempio, trasporto, logistica e turismo, consentendo lo sviluppo di territori che prima non ne avevano. Senza, quali alternative?
Eliminare il tetto delle 6 mensilità per le indennità di licenziamento illegittimo nel caso di aziende con meno di 15 dipendenti, senza indicare nuovi parametri, che impatti può avere sulle piccole attività economiche? Per onorare una sentenza di condanna, riusciranno a restare in piedi? Più che un referendum si dovrebbe parlare di politiche industriali e, definite queste, rivedere in modo organico il sistema di regole volte a disciplinare un lavoro che i più giovani percepiscono in modo assai diverso da chi, in questi giorni, ne parla sui giornali.
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