Prescrizione, Marco Travaglio ha bisogno di qualche ripetizione da Emma Bonino

Quando parla, la butta lì. Tanto non ha contraddittorio. Quando scrive, la butta lì. Tanto non ha contraddittorio. Quando parla. Ha detto testualmente Marco Travaglio, nella solita trasmissione in cui non esistono pareri contrari, che la prescrizione, ormai diventata una sorta di peccato originale della giustizia italiana, serve solo ai “colpevoli”. Perché tanto gli innocenti, ha aggiunto, vengono assolti. Non ci permetteremmo mai di introdurre nella vita di un grande giornalista la novità non solo di incontrare qualcuno che contesta la sua apodittica affermazione e neppure, come sarebbe doveroso, di sentirsi dare dell’ignorante. Perché saremmo costretti a sollecitarlo a ripassare, se non studiare, almeno la prima parte della Costituzione e la presunzione di “non colpevolezza”. Che è cosa diversa dall’innocenza, ma non vogliamo sottilizzare.

Ci basta ricordargli il caso più famoso delle tante ingiustizie italiane, quello di Enzo Tortora. Il quale – ricordi, Travaglio? – fu rinviato a giudizio e anche condannato al processo di primo grado. Colpevole, dunque? È per uno come lui che si deve abolire ogni termine di prescrizione, che si devono buttare via le chiavi e lasciarlo morire prima che abbia avuto quella riparazione di giustizia che fu rappresentata dall’assoluzione in appello e poi in via definitiva in Cassazione? La domanda non ha risposta, ai grandi giornalisti non serve avere risposta, basta loro buttarla lì. Senza contraddittorio. Quando scrive. Non avendo sufficiente cultura per l’ironia, Marco Travaglio fa grande uso del sarcasmo.

Ha preso di mira, nell’editoriale di ieri sul quotidiano che dirige, alcune persone per bene, descritte come dei poveretti in quanto portatori di pensiero divergente dal suo. Emma Bonino, Benedetto Della Vedova, Stefano Parisi e Carlo Calenda avevano preso parte a una manifestazione davanti a Montecitorio proprio per segnalare la barbarie cui è arrivato il processo penale dopo l’entrata in vigore della legge che abolisce la prescrizione dopo il primo grado di giudizio.

Travaglio li sfotte con la consueta eleganza. Siete pochi, dice loro dall’alto del suo seguito di folle oceaniche, e non siete neanche dei veri europeisti, tanto che non sapete neppure che l’Italia è stata condannata, proprio per il suo sistema di prescrizione, «da tutte le istituzioni europee, che hanno sempre caldeggiato la riforma Bonafede». Caspita. E quali sono queste istituzioni che avrebbero “condannato” l’Italia? Il nostro cita un solo organismo, e capiamo subito che di un po’ di ripetizioni da Emma Bonino il ragazzo avrebbe proprio bisogno. Per chiarirsi le idee sull’Europa e anche per imparare a distinguere tra i diversi organismi. Non c’è stata nei confronti dell’Italia alcuna condanna e non potrebbe esserci. L’organismo da lui citato infatti, si è solo limitato a esprimere una preoccupazione (non vincolante) per l’eccesso di reati caduti in prescrizione nel nostro Paese.

Si tratta del Consiglio d’Europa, che è un ente esterno all’Unione Europea, tanto che ne fanno parte anche paesi come Turchia, Russia e Azerbaigian e che è nato fin dal 1949 per promuovere la democrazia e i diritti umani. All’interno del Consiglio d’Europa (che non va confuso né con il Consiglio della UE né con il Consiglio europeo) esiste un gruppo di controllo sulla corruzione chiamato Greco, che sarebbe, secondo Travaglio, l’autore della “condanna” nei confronti dell’Italia. Cosa impossibile, non avendo questo gruppo, come del resto lo stesso Consiglio d’Europa, alcuna funzione giurisdizionale.

Compito al contrario attribuito, oltre che alla Corte di giustizia dell’Unione europea, alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), che ha, lei sì, più volte condannato l’Italia, ma per una serie di casi di eccessiva lentezza dei processi. Ma la lentezza, che è poi la premessa che sta alla base della necessità di ricorrere anche alla prescrizione dei reati, ai grandi giornalisti come Travaglio non interessa. Visto che è interessato alla documentazione prodotta dal Consiglio d’Europa, gli suggeriamo materiale per il prossimo editoriale. Dia un’occhiata all’ultimo rapporto prodotto dalla commissione che si occupa dell’efficienza della giustizia (Cepej) nel 2018. Proviamo a esaminare i dati sui tempi della giustizia penale nei vari Paesi europei. La media dei Paesi membri del Consiglio d’Europa è di 138 giorni per il processo di primo grado, 143 per il secondo e altri 143 per il terzo. Complessivamente poco più di un anno.

L’Italia? Mediamente 310 giorni per il primo grado (Germania 117, Spagna 163, Regno Unito 72, Danimarca 38), 876 per il secondo, 191 per la cassazione. Totale: tre anni e nove mesi. Ecco dove nasce la necessità di ricorrere alla prescrizione. Fattelo spiegare da Emma Bonino, caro Travaglio.