Entro questo fine-settimana dovrebbe essere deciso, a livello europeo, il sesto pacchetto di sanzioni da comminare alla Russia, con al centro il blocco delle importazioni di petrolio secondo un’impostazione graduale e l’estensione delle misure per le banche. È sperabile che le differenze di posizioni all’interno dell’Unione siano superate o, almeno, attenuate perché già il quadro presentato con deroghe per alcuni Paesi, trattamenti particolari per altri ed effetto di imitazione per altri ancora non è particolarmente esaltante.
Anzi finisce con il dare un qualche appoggio alla verosimile opinione russa, e di Putin in particolare, che considera il petrolio e il gas, nonché le relative forniture, come fattori che accrescono le divisioni in Europa. L’atteggiamento diversificato, anche se alimentato da veri o presunti interessi economici nazionali, assume una valenza pure politica e caratterizza il modo in cui l’Unione si pone nei confronti dell’Ucraina e della Russia in un momento di assoluta eccezionalità. D’altro canto, se la spinta alle sanzioni viene anche da coloro che ritengono sbagliata l’assistenza militare all’Ucraina e da altri che non sostengono l’ulteriore assegnazione di armi, in particolare se “offensive” (ammesso che si riesca a distinguere), allora l’efficacia delle sanzioni stesse e l’adesione alle relative decisioni possono diventare anche il terreno, appunto, di convergenze le più ampie possibili.
Naturalmente, bisognerà aver presente che le sanzioni fanno male anche a chi le commina, benché in misura minore del sanzionato. Dopo che la Federal Reserve ha aumentato dello 0,50 per cento i tassi di riferimento che ora si collocano tra lo 0,75 per cento e l’1, in contemporanea con l’aumento dello 0,25 per cento (arrivando all’1) da parte della Banca d’Inghilterra, in entrambi i casi per contrastare l’inflazione, gli impatti sui mercati sono stati significativi e, in Italia, subito dopo, gli spread Btp-Bund hanno raggiunto circa 200 punti base. Sono i prodromi di una situazione non facile nella quale l’inflazione, considerato il rallentamento netto della crescita, potrebbe combinarsi, anche per l’Italia dove l’inflazione ad aprile si attesta al 6,2 per cento, con una recessione o con una stagnazione., una prospettiva difronte alla quale non si può rimanere inerti. Di qui la necessità di reagire d’anticipo a livello nazionale e comunitario.
La creazione di uno scudo europeo – di cui ha parlato, in una intervista a La Stampa, il componente di punta dell’Esecutivo della Bce, Fabio Panetta – in materia energetica, di beni alimentari e di aspetti di fiscal policy è fondamentale; dovrebbe svilupparsi, per la parte che riguarda l’energia secondo progetti che stanno maturando a Bruxelles, sulla falsariga del Recovery plan che dovrebbe impiegare risorse per 200 miliardi; presuppone poteri accentrati nel campo, appunto, dell’energia. Ma ciò richiede anche un raccordo tra politica monetaria e politica economica a livello centrale e nei singoli Paesi. Panetta ha ricordato ciò che il governo della moneta può fare e ciò che non può fare. Ancora non si ha la certezza che a luglio saranno alzati i tassi di interesse di riferimento, avviandosi a conclusione l’acquisto, da parte della Bce, di asset del programma “App”. Si ipotizza, comunque, una graduale normalizzazione della politica monetaria.
La spinta all’economia, il maggiore sostegno a famiglie e imprese devono venire dalla politica economica in un rapporto con la politica monetaria e con una nuova versione della politica dei redditi: indipendenti restando, ovviamente, queste funzioni, ma cooperando per il risultato del contrasto dell’inflazione senza danneggiare, anzi sospingendo la crescita. È la versione aggiornata del metaforico “tacco e punta” di cui parlava, ai tempi, l’allora Governatore della Banca d’Italia, Guido Carli. Più da vicino, ispiratrice, sia pure in un contesto assolutamente diverso, può essere la concertazione di Carlo Azeglio Ciampi. Poi è necessario un piano a livello nazionale che si raccordi con il Pnrr e miri ad affrontare questa difficile fase nella quale non sono sufficienti misure di pronto intervento slegate fra di loro, ma vi è l’esigenza di specifiche ulteriori iniziative per la crescita e per il debito.
Tutto ciò risponde a reali necessità delle famiglie -. Si pensi che si parla già di rischi di carestia e qualcuno ipotizza un’economia di guerra che però appare lontana – e delle imprese. Nel contempo, mettendo insieme piani nazionali e auspicato “scudo” europeo, si risponde a quella parte di preoccupazioni che è fondata per i possibili “boomerang” delle sanzioni, secondo uno schema che dovrebbe essere adottato anche dagli altri partner comunitari. In ogni caso, l’obiettivo delle sanzioni va oltre questi pur fondamentali aspetti perché si tratta di contribuire, in una con le iniziative della diplomazia, innanzitutto al “cessate il fuoco”. Non si immeschinisce questo obiettivo – cruciale per la tutela della vita, della sicurezza, dell’avvio del ripristino delle relazioni internazionali – se si afferma realisticamente che anche per il suo perseguimento non esistono “pasti gratis”.
