Quando la pandemia finirà, ci ricorderemo che non siamo immuni da nulla?

Il peggio accade nel dormiveglia mattutino, quando gli spiriti non fanno in tempo ad accorrere in difesa del cuore e la risacca degli incubi non si è ancora asciugata al sole della ragione: paura di morire nel caos, con un tubo piantato in gola e un tablet in mano, tra sconosciuti indaffarati. Poi si risale in superficie, alla chiarezza del lavoro: le notizie più ansiogene parlano di “Lombardia fuori controllo” e di un virus che qui si starebbe comportando in modo anomalo, lasciando anche i virologi nello sconcerto.

Ho deciso di non uscire per un paio di settimane, in una quarantena autoimposta responsabile e un po’ vile; non ho modo di vedere le code ai supermercati, né i militari che piantonano le strade, né le multe ai runner di cui si favoleggia. Vedo tutto in televisione, e alla paura si sostituisce lo stupore. Stupore innanzitutto per le curiose asimmetrie: Gaia Tortora rimprovera due fidanzati che si tengono per mano in piazza Gae Aulenti, e alla loro frase sentimentale (“le coppie non si separano”) oppone dura “invece adesso si separano, eccome”.

Su altra rete un medico spiega che la distanza obbligatoria non vale per “le coppie che condividono il talamo”, e altrove ancora Ricky Tognazzi e Simona Izzo si presentano sorridenti, abbracciati nel letto matrimoniale. Tenerezze possibili in casa ma non per strada ? E i vestiti ? Un esperto suggerisce di lavarli quando si siano usati all’esterno, mentre Burioni assicura che i tessuti, essendo porosi, non trattengono il virus. Disinfettare o no le zampette dei cani con l’amuchina ?

Stupore anche maggiore per certe riconversioni dei personaggi televisivi, paragonabili alle riconversioni delle fabbriche di intimo che si sono messe a fabbricare mascherine: chi prima della bufera si divertiva a incoraggiare allegre sessantenni in vena di turismo sessuale, ora opera un inesausto servizio pubblico di base, con volto commosso e dito alzato. Al Grande Fratello Vip si recita il “Padre Nostro”, i concorrenti restano senza parole nel passaggio dai sentimenti per uso spettacolare a quelli veri.

Gli spot pubblicitari emanano un alone di irrealtà, propagandando prodotti che ora non si possono comprare perché i negozi sono chiusi, e che in futuro probabilmente molti non si potranno permettere; appare palese che la pubblicità non serve tanto per il singolo prodotto quanto come rassicurazione d’abbondanza – se sparisse di colpo, gli spettatori proverebbero il morso dell’astinenza e sentirebbero alzarsi inspiegabilmente il livello di allarme. Le previsioni meteo parlano di una primavera che sembra un sarcasmo, come se la Natura volesse beffarsi di noi, ma il ritorno improvviso del freddo ci conferma che la Natura è sovranamente indifferente alle nostre sorti.

Il blocco di quasi tutte le attività, la drastica diminuzione dei viaggi, l’Europa chiusa in casa, stanno riducendo di molto l’inquinamento: si sono avvistati i delfini nella laguna veneta, i fiumi tornano a essere trasparenti – si rimedia a un guaio solo con un guaio più grande. A Milano è tornata ben sotto i limiti consentiti la presenza nell’aria di polveri sottili, ma qualche epidemiologo avanza l’ipotesi che proprio l’inquinamento nella pianura padana abbia reso più fragili i polmoni degli abitanti.

Contraddizioni e paradossi si rincorrono in circolo: i sindacati che premono per far chiudere le fabbriche, Salvini che rivendica la centralità del Parlamento. Rinascono i nazionalismi e gli egoismi: basta che non muoiano i miei parenti, i miei amici, i miei concittadini, i miei connazionali. Si respira un latente, indicibile desiderio che le altre nazioni (la Francia, la Spagna, l’Inghilterra del buffone Johnson, i tedeschi con troppo pochi casi, gli Usa del prepotente Trump) ci raggiungano nei numeri del contagio.

“Prima gli italiani” comincia a non sembrare più uno slogan così assurdo, la chiusura delle frontiere è una necessità momentanea ma anche l’inconscia rivincita contro un’omologazione mai accettata fino in fondo. Le categorie più fragili (i senzatetto, i carcerati, i migranti) sono dimenticati senza troppo scalpore, nonostante le altamente proclamate intenzioni di solidarietà e il meritorio lavoro dei volontari. Che la sinistra sia una postura per gente in salute? Stiamo verificando quanto ci costa abbandonare abitudini anche banali o addirittura dannose: l’aperitivo, la sigaretta, il pilates.

La scoperta che, in certe emergenze, l’autoritarismo è più efficace della democrazia non sembra aver scalfito nel profondo le coscienze: qualcuno se ne occupa, ma la protesta su questo non riesce a diventare di massa. Dopo aver rimosso la morte per troppi anni, e averla allontanata dal discorso pubblico, lei ci è piombata addosso con violenza e abbiamo fatto fatica a prenderne atto. All’inizio si diceva “i deceduti sono ultrasettantenni con polimorbilità”, e la tecnicità del linguaggio serviva per nascondere. Con la sola, quasi, lodevole eccezione di Enrico Mentana, la tivù li trattava solo in quanto numeri rassicuranti per i giovani. Poi sono arrivati i furgoni carichi di bare, e con loro le storie individuali. La morte esiste, è visibilmente tra noi; l’illusione di onnipotenza che il nostro sistema economico voleva venderci è finita; neppure la scienza, moderna religione, è onnipotente.

Tutte le pandemie finiscono, certo, ma saranno molti i conti da fare, dopo. Tutte le cose che abbiamo sbagliato, le direzioni che ha preso il nostro sviluppo; il meglio e il peggio della globalizzazione. La velocità del nostro mondo è un formidabile ripetitore epidemico, ma forse il mercato degli animali di Wuhan era ancora troppo poco globalizzato: standardizzazione significa anche asetticità, nel bene e nel male.

Siamo presi in una tenaglia psicologica, tra la fretta che tutto torni come prima e la speranza che niente sarà più come prima. Non siamo abituati ad avere paura, le guerre le combattono gli altri, e perfino definire questa una guerra serve a renderla mitica, allontanandola dalla continuità del nostro quotidiano. E noi invece siamo questo, tutto insieme: la fragilità sanitaria, gli equilibri di forza e il terrorismo, la lotta tra gli imperi, la polluzione planetaria e l’emarginazione dei poveri; i cigni neri incrociano nel nostro cielo, non siamo immuni da nulla. Per quanto ce lo ricorderemo, nell’euforia della ripresa ?