Chiusi ormai da giorni in casa, l’orizzonte sia spaziale e sia temporale di ciascuno di noi si è improvvisamente ristretto. Così come non è più possibile uscire di casa, al tempo stesso è sempre più difficile uscire dalla paralisi presente e fare progetti per il futuro. Il continuo riferimento nei discorsi pubblici alla “guerra”, che il paese sta combattendo e che unito può vincere, la comunicazione istituzionale sempre più militarizzata, scandita dai bollettini della Protezione civile e dalle dirette Facebook del Presidente del consiglio, accentuano un comune sentimento di vivere “un’ora suprema”.

Ma è davvero così? La generazione degli italiani, che hanno vissuto consapevolmente la Seconda guerra mondiale con i bombardamenti e la fame, non c’è più, ma c’è ancora quella di coloro che hanno vissuto il dopoguerra e visto gli immani sacrifici che furono dietro il famoso miracolo economico. E, poi, vi sono i resoconti dai veri teatri di guerra: l’Iran, il confine tra la Grecia e la Turchia per fare un esempio. La guerra, insomma, è tutt’altra cosa dall’attesa su di un divano di casa, e perciò, forse, vi è bisogno di un ridimensionamento, come ha scritto Giuliano Cazzola su questo giornale. E’ un momento difficile, molto difficile, le conseguenze economiche saranno devastanti, ma non è una guerra.

Eppure, va registrato un atteggiamento delle istituzioni troppo spesso teso a rappresentare l’emergenza coronavirus come uno stato di guerra. La comunicazione delle istituzioni è tutta tesa a dare l’idea dell’uomo solo al comando. Conte che comunica con le dirette Facebook, in una relazione diretta tra il condottiero ed il suo popolo. Conte che scandisce frasi come “ho deciso”, “mi assumo la piena responsabilità politica”, le quali implicitamente significano l’obliterazione di tutte le procedure democratiche di assunzione delle scelte politiche.

Contemporaneamente, con un disgustoso asservimento di molta parte dell’informazione, l’accusa di sciacallaggio a qualsiasi critica possa riguardare la condotta del governo. Basta considerare il silenzio indecente di larga parte dei mezzi di informazione su quanto è avvenuto e su quanto sta avvenendo nelle carceri e sulla palese inadeguatezza dell’attuale Guardasigilli. L’impressione, allora, è di una strumentalizzazione di questo momento, certamente difficile ed emergenziale, per mandare in soffitta la democrazia e sostituirla con una democratura.

Se non nelle forme, nei fatti, che è quello che alla fine rileva. Ed il pensiero, allora, non può non andare a quel fiume di proclami che si sono costantemente levati contro ogni proposta di riforma costituzionale, volta a rafforzare i poteri dell’esecutivo in modo infinitamente più modesto di quanto la realtà attuale ci consegna.

Oggi stiamo assistendo ad una radicale torsione delle istituzioni democratiche nel senso della esaltazione dell’uomo solo al comando e chi reagisce è subito accusato di alto tradimento. La responsabilità del sistema dei media, nel suo complesso e salve poche meritevoli eccezioni, è grave: l’informazione da cane di guardia della democrazia trasformata in cagnolino del potere. Ma la maggiore responsabilità non può non essere del Presidente della Repubblica e del Partito Democratico. Sono loro che hanno le chiavi per impedire questa degenerazione. Perché non lo fanno?