La prossima estate sarà senza frutta e verdura. Non per problemi dovuti alla siccità o al cambiamento climatico ma semplicemente perché nessuno raccoglierà nei campi i prodotti ortofrutticoli. E’ questo l’effetto del “cocktail” micidiale a base di decreti sicurezza e decreti sull’emergenza Coronavirus che hanno blindato le frontiere del Bel Paese. Il tema, che non è stato ancora affrontato dal governo, sta iniziando ad allarme gli addetti ai lavori della filiera agroalimentare. Il lavoro nei campi, in particolare l’attività di raccolta, da anni viene effettuata quasi esclusivamente da cittadini extracomunitari, molti provenienti dall’Africa o dall’Est Europa. Marocco, Tunisia, Egitto, Mali, Gambia, Liberia, Albania, Bulgaria, sono le nazioni che forniscono la gran parte della forza lavoro all’agricoltura tricolore.

Complessivamente sono oltre 346mila gli stranieri, provenienti da ben 155 Paesi, impiegati in agricoltura. Nel Lazio, un terzo dei lavoratori agricoli, non solo quelli impiegati nella attività di raccolta, è straniero. Fino allo scorso anno, tanti lavoratori agricoli extracomunitari venivano in Italia con il permesso di soggiorno stagionale, che aveva durata da 20 giorni a nove mesi. Il giro di vite sui permessi ha fissato margini stringenti sulle quote annualmente stabilite dal decreto di programmazione dei flussi di ingresso per motivi di lavoro. Nel 2019 è stato fissato in 18.000 il numero di permessi per il lavoro subordinato stagionale nei settori agricolo e turistico-alberghiero. I settori più bisognosi di manodopera straniera.

La richiesta di assunzione di un lavoratore straniero poteva essere fatta da un datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia attingendo nell’elenco dei Paesi inseriti nel decreto flussi. Salvini, però, aveva messo dei paletti ai lavoratori che provenivano da Paesi i cui governi non si erano dimostrati “collaborativi” nei rimpatri dei migranti irregolari. La “rappresaglia” non aveva fermato i datori di lavoro senza scrupolo che avevano continuato ad impiegare, in condizioni di totale sfruttamento, manodopera clandestina.

Intere aziende, il discorso unisce l’Italia, dalla Calabria alla Lombardia, si sono avvalse, e continuano ad avvalersi, di lavoratori senza alcuna tutela. Questo fino allo scoppio dell’emergenza Coronavirus che ha fatto tornare nei Paesi d’origine quasi tutti i lavoratori e che sono ora impossibilitati a rientrare in Italia. In questi giorni tantissimi produttori agricoli sono davanti ad un dilemma: seminare o non seminare. Le colture stagionali, infatti, devono essere impiantate a partire dalla fine di questo mese in modo da avere già per maggio i primi frutti.

L ’agricoltura Italiana, va ricordato, si è profondamente rinnovata in questi anni. E’ cresciuta e ha saputo valorizzare le produzioni vegetali di più alto pregio. Al punto che l’Italia è diventato il primo Paese agricolo dell’Europa. I lavoratori stranieri – afferma la Coldiretti nell’ultimo rapporto – contribuiscono in modo strutturale e determinante all’economia agricola del Paese e rappresentano una componente indispensabile per garantire i primati del Made in Italy. Nel periodo 2008-2018, l’Italia ha conquistato la leadership di settore a livello dell’Unione europea. Qualche numero: nel 2018, in cui il valore aggiunto dell’agricoltura italiana è stato stimato da Eurostat pari a 32,2 miliardi di euro. Il dato permette al nostro Paese di mantenere il primo posto tra i Paesi della Ue, davanti alla Francia (32,1 miliardi), alla Spagna (30,2 miliardi) e alla Germania (16,8 miliardi).

Risultati ottenuti senza contributi alla produzione a beneficio del settore agricolo che, nell’intera Ue, ammontano a un totale di circa 51 miliardi nel 2017. Considerando i valori assoluti, nella classifica dei Paesi che ricevono i maggiori contributi all’agricoltura (sia nazionali sia europei), al primo posto c’è la Francia con 8,2 miliardi, seguita dalla Germania con 6,7 miliardi e dalla Spagna con 5,7 miliardi. Per l’agricoltura italiana i contributi alla produzione ammontano a 5,0 miliardi. Tra i maggiori Paesi produttori agricoli Ue, il rapporto tra contributi alla produzione e valore aggiunto è per l’Italia il più basso. Tale rapporto, infatti, corrisponde nel 2017 al 33,1% in Germania, al 27,9% in Francia, al 20,4% in Spagna e solo al 15,8% in Italia, a fronte di una media della Ue pari al 27,6%. Quali sono le produzioni più gettonate? Quasi tutte le principali colture.

Negli ortaggi l’Italia è il primo produttore Ue: pomodori, melanzane, carciofi, cicoria fresca, indivie, sedano e finocchi. E anche per quanto riguarda la frutta l’Italia primeggia in molte produzioni importanti: dalle mele e pere fresche alle ciliegie, dalle albicocche alle uve da tavola e da vino, dai kiwi alle nocciole. Per alcuni produzioni, come i carciofi, l’Italia è poi leader mondiale.