Dissolto l’incubo della sconfitta alle elezioni regionali dell’Emilia Romagna, il governo si trova ora, come ha più volte ripetuto il segretario del Pd Nicola Zingaretti, di fronte a una nuova fase che dovrà sciogliere una serie di importanti nodi del programma della maggioranza, evitando ulteriori rinvii che non sarebbero più compresi, per avviare effettivamente una nuova stagione più volte promessa.  Non mi avventuro sul dibattito, centrale in questo momento, dei nuovi sistemi elettorali, ferma restando la necessità di una scelta che assicuri effettiva governabilità a questo Paese, anche se non fosse quella auspicata da ciascuno di noi. Punto sulla professionalità e saggezza del presidente Conte perché si trovi una soluzione digeribile e in linea con la nostra civiltà giuridica per quanto riguarda il tema della prescrizione, senza renderci tutti prigionieri di un’ansia giustizialista che non mi pare abbia risolto alcun problema.

Quello che tuttavia, per quanto mi riguarda come Direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati, attende da tempo una urgente svolta di buon senso è tutto il tema dell’immigrazione e dell’accoglienza. In primo luogo, va contrastata quest’idea del binomio immigrazione-sicurezza che non solo è assolutamente senza fondamento, come dimostrano i dati ufficiali del ministero dell’Interno, ma è esattamente il frutto malato di una manipolazione mediatica portata avanti dalla destra negli ultimi anni.  Nessuna fuga in avanti, nessuna avventura umanitaria, ma la consapevolezza di doverci strutturare in maniera coerente ai nostri valori e alle necessità di un Paese, peraltro condannato da dati demografici che descrivono un inesorabile declino.

Ripartiamo allora dai sindaci, da quei progetti dello Sprar (mi ripugna parlare di Siproimi) che hanno costituito e ancora costituiscono una best practice della nostra organizzazione. È quello il riferimento in chiave di servizi, di diritti, di percorsi di integrazione, di coesione sociale e di responsabilità politica che meglio garantisce la governabilità del fenomeno. Superare una discriminazione aprioristica in termini di servizi, tra coloro che sono in attesa della protezione internazionale e coloro che l’hanno già ricevuta è già un primo passo fondamentale per circoscrivere il rischio di un’ulteriore crescita dell’irregolarità, della marginalità sociale e della frustrazione. Il presunto risparmio, esibito dal governo giallo-verde come una bandiera di vittoria, finisce per essere tutti i giorni solo un modo per scaricare costi e problematiche sui territori.

Una norma che, senza ricorrere alle tradizionali procedure di emersione o regolarizzazione, consentisse il rilascio di un permesso di soggiorno provvisorio a chi è nelle condizioni di dimostrare il proprio impegno lavorativo o un positivo percorso di integrazione, ci aiuterebbe ad avviarci verso una normalità auspicata da tutti. Allo stesso modo, se le aziende che rivendicano una necessità di personale fossero disponibili a essere sponsor sulla base di garanzie chiare per le persone che intendono assumere, contrasteremmo forme di sfruttamento lavorativo e potremmo dare una risposta a una richiesta più volte sottolineata dalle associazioni datoriali.