Sei mesi fa non credevo che il governo Conte2 avrebbe rappresentato una alternativa al governo Conte 1 e mi pare che i fatti abbiano confermato questa facile previsione. Allo stesso modo oggi temo che la coalizione che sostiene l’esecutivo non prenderà alcuna decisione significativa sui decreti sicurezza, fino a che per Pd e Italia Viva la tenuta del governo verrà considerata una “variabile indipendente” e un “valore non negoziabile” a cui qualunque altro principio e obiettivo deve essere subordinato. In questo quadro, la trattativa sui decreti sicurezza è destinata a finire come quella su quota cento, sul reddito di cittadinanza, sul blocco della prescrizione e sul taglio dei parlamentari: nella certificata subalternità alla linea populista del M5S.

I decreti sicurezza sono stati un deliberato sabotaggio alle politiche di integrazione e alle attività di soccorso dei naufraghi raccolti nel Mediterraneo. Sono stati, molto più degli sbarchi, il primo fattore di incremento del numero degli irregolari e hanno rischiato di aprire una vera e propria emergenza umanitaria interna, che il ministro Lamorgese ha provvisoriamente scongiurato evitando, ma solo per i prossimi sei mesi, che migliaia di titolari di protezione umanitaria finissero, da un giorno all’altro, in mezzo a una strada. Inoltre, il decreto sicurezza bis ha autorizzato il governo a adottare provvedimenti contrari non solo al buon senso e ai doveri di umanità, ma agli stessi obblighi stabiliti dalle convenzioni sul soccorso in mare e sui rifugiati, ratificate dall’Italia.

Oltre alle conseguenze dirompenti sul piano normativo, i decreti sicurezza hanno dirottato l’attenzione degli italiani dalle cause agli effetti della destabilizzazione politica dell’area sud del Mediterraneo, dando loro l’impressione che l’Italia si sarebbe messa al riparo dalle conseguenze del disordine generale semplicemente impedendo gli sbarchi dei disperati in fuga. Il risultato è che mentre il Ministro degli interni Salvini gonfiava il petto vantandosi di avere difeso i confini della patria dalle navi delle Ong, eleggendo la Libia a porto sicuro, proprio l’esplosione libica dimostrava la totale marginalità dell’Italia in un’area in cui si concentrano nostri rilevanti interessi economici e strategici.

Per queste ragioni ritengo che sarebbero del tutto irrilevanti i semplici e minimali aggiustamenti, che vengono oggi prospettati, come quelli suggeriti dal Quirinale sulla graduazione delle sanzioni per l’ingresso non autorizzato nelle acque nazionali e sulla precisazione dei criteri di determinazione della natura e gravità delle violazioni. Né ci si può accontentare, come sembra suggerire il Viminale, di una parziale estensione dei permessi straordinari che hanno sostituito il permesso per protezione umanitaria. I decreti sicurezza per la parte che attiene alle politiche migratorie vanno aboliti, non “migliorati”, perché non c’è niente da migliorare in due provvedimenti che sono serviti unicamente alla strategia di consenso dell’ex titolare del Viminale.

Peraltro, neppure questo sarebbe sufficiente, senza intervenire su quanto sta a monte dei decreti sicurezza e ne ha anticipato contenuti e direzioni. Il primo e più urgente problema riguarda i termini dell’accordo con la Libia, che il 2 febbraio dovrebbe essere rinnovato per il prossimo triennio e che l’evoluzione della situazione libica rende da un certo punto di vista astratto e dall’altro particolarmente sinistro, perché la situazione del Paese, in assenza di una effettiva autorità statuale, non consente neppure più quella finzione che per tre anni ci ha permesso di qualificare come interlocutori locali i capi di vere e proprie milizie para-criminali.