Sta emergendo una differenza sostanziale nella gestione del contagio fra noi e gli altri grandi paesi europei in questa fase critica di diffusione del Coronavirus. È macroscopica, la scopriamo giorno dopo giorno. E si spiega partendo da una semplice domanda: perché in Italia i numeri dei contagiati sono così più alti rispetto a Germania o Francia o Gran Bretagna?  La storia del nostro Paese untore non regge più. Ha retto per alcuni giorni, sufficienti a provocare per noi un danno economico e di immagine incalcolabile. Ma la Storia corre a passi veloci e ora dobbiamo guardare in faccia una nuova realtà. Gli altri paesi ci hanno osservato con attenzione in queste settimane e sono stati portati a muoversi in modo diverso. Noi abbiamo nostro malgrado prodotto una case history mondiale che gli altri hanno studiato e scelto per ora di non riprodurre. Che cosa abbiamo fatto?

Abbiamo affrontato subito apertamente l’arrivo del virus, abbiamo comunicato momento per momento, in modo anche estremamente caotico e controproducente, l’evolversi delle cose, ci siamo affidati al nostro ben radicato rapporto con la sanità pubblica, col nostro corpo medico e infermieristico, che nonostante i tagli draconiani a cui sono stati sottoposti in questi anni rimane uno dei migliori al mondo. Ci siamo appoggiati alla consuetudine fiduciaria e diretta che abbiamo con le strutture sanitarie pubbliche. Abbiamo voluto proteggerci e curarci denunciando e rendendo pubblica da subito tutta l’entità dell’emergenza.

Abbiamo voluto, cioè, entrare totalmente nel problema. Non abbiamo pensato subito agli effetti della diffusione del virus per la nostra economia. Il nostro primo riflesso è stato quello della cura e dell’assistenza alla persona.  La nostra scelta ha avuto, lo sappiamo, un costo economico altissimo, che tutti adesso siamo chiamati a condividere. E chi ci osserva fuori dai nostri confini ha preso buona nota. Gli altri Paesi si stanno dimostrando inspiegabilmente più lenti di noi nell’applicazione di misure atte a registrare e arginare l’evoluzione del contagio, eppure l’esempio dell’Italia mostra chiaramente che non c’è tempo da perdere.

Quanto intensamente nelle altre nazioni europee ci si dedica a monitorare in modo capillare l’entità del contagio e a prendere con rapidità le necessarie drastiche azioni di contenimento? I numeri resi pubblici e le cose fatte fin qui ci dicono che la risposta è: troppo poco. Anche perché quelle azioni, una volta intraprese, hanno un costo epocale, e i governi lo sanno.

È come se si avesse onta a trattare il fenomeno nella sua gravità per timore delle inevitabili ripercussioni sociali ed economiche. È come, cioè, se in tempi di globalizzazione la salute dell’economia finisse per essere considerata prioritaria rispetto a quella della popolazione. È un criterio diverso rispetto a quello applicato in Italia, ma sembra affacciarsi in tutta la sua chiarezza. Anche in questo caso, è impossibile calcolarne le conseguenze. In termini di gestione della cosa pubblica viene prima la salute dei cittadini o l’economia?

Attorno a questa domanda si agitano in questi giorni i dubbi e le incertezze delle cancellerie, con perimetri di sensibilità diversi che provengono dalle caratteristiche specifiche di ciascuna nazione e dalla personalità dei loro leader di governo. Ecco, le caratteristiche di ciascuna nazione vengono fuori prima di tutto, preso atto che l’Europa come entità politica non esiste e non esisterà ancora per lungo tempo.

Quali caratteristiche sta mostrando il nostro popolo in questo drammatico frangente? Quelle di sempre: solidarietà, flessibilità – che sconfina spesso nel disordine – e una voglia incontenibile di vincere anche la guerra più difficile guardando dritto negli occhi il nemico.  Motivo per cui questa guerra la vinceremo.