Si chiama contrappasso. Oggi, come non succedeva dai tempi del Novecento agli emigranti calabresi o siciliani, essere possessori di un passaporto italiano significa trovarsi, se va bene, nella condizione di ospiti indesiderati e, se va male, in quella di pericolosi untori a cui sbarrare le porte senza tanti riguardi. Mi ha colpito la vicenda – molto esemplificativa – del collega Rai Marco Varvello che, in vacanza in India, è rimasto bloccato, lasciato a piedi da una compagnia aerea e abbandonato a se stesso per capire come fare a rientrare a Londra – non in Italia, a Londra, dove vive da anni. La sua colpa? Appunto il passaporto italiano. Per un popolo come il nostro, abituato alla simpatia pressoché generalizzata del mondo e ai benefici del fascino del made in Italy, è uno shock, consumatosi nel giro di poche settimane. Stiamo subendo una discriminazione inaccettabile, applicata alle nostre persone e alle nostre merci.

Non voglio prestarmi al gioco – già giocato da parecchi – dell’ironia per cui da giudici dei passaporti altrui, soprattutto provenienti dall’Africa, siamo noi oggi ad essere giudicati e sentenziati “non graditi”. Non serve a nulla. Se c’è una lezione per noi da tutta questa vicenda, non credo che sia questa. Da italiana voglio essere pragmatica, come lo sono gli altri, francesi, tedeschi, inglesi, che sembrano per ora governare con molta più freddezza e chiarezza, e anche opportunismo, il diffondersi dell’epidemia. E pragmatismo dice che il danno, chiamiamolo con leggerezza “di immagine”, che l’Italia sta subendo dalla colossale disinformazione fatta attorno all’emergenza virus, è di portata epocale, con tutte le conseguenze economiche che ne possono derivare. E va affrontato con grande forza.

Dove sono stati gli errori? E come rimediare? Il governo italiano ha sottovalutato o sopravvalutato l’arrivo del Coronavirus in Italia? Ha ascoltato troppo o troppo poco gli scienziati tanto spesso evocati in questi giorni dal premier Conte? E quanto la politica ha tradito l’imperativo categorico del buonsenso? Ci sarà il tempo delle risposte a queste domande. Ma ora, al netto della complessa gestione dell’emergenza sanitaria – lo stesso Conte ha parlato di ipotesi di crescita esponenziale dei contagi – occorre lavorare da subito alla ricostruzione dell’immagine dell’Italia all’estero. Siamo il nono paese esportatore al mondo, con 555 miliardi di euro esportati nel 2018. Il valore del nostro export corrisponde a circa il 30 per cento del valore del pil nazionale: per noi l’immagine del made in Italy è l’asset di partenza e di arrivo, da preservare e valorizzare ad ogni costo; su quello dobbiamo concentrare tutte le nostre intelligenze. Ci vorrà molta umiltà.

I partiti, tutti, senza eccezione, hanno ora l’occasione di sottrarsi alla dittatura disgregante della politica fatta sui social, che li ha tenuti per troppo tempo alla larga dalla complessità dei problemi da risolvere, trasformandoli in tanti Peter Pan affetti da bulimia mediatica. Devono tornare a svolgere un ruolo a cui hanno abdicato, e rimettere bene mani e piedi nella realtà. Possono e devono riaprirsi al confronto con un’Italia estraniata, disorientata, costretta persino a mettere da parte la logica dell’antipolitica perché bisognosa di aiuto nell’attraversare il profondo cambiamento che questa epidemia porta con sé. Oggi i partiti possono, liberandosi di tanti condizionamenti ideologici, contribuire con contenuti e proposte soprattutto di natura economica ad offrire all’azione di governo un’agenda e un ordine che drammaticamente non si sono visti in queste settimane.

Forza Italia ha già svolto un più che apprezzabile lavoro in questo senso, presentando “Italyes”, ovvero una lunga serie di dettagliate proposte che prevedono una moratoria sui mutui, una generale revisione della pressione fiscale e pacchetti in soccorso dei settori maggiormente in sofferenza come il turismo, l’agricoltura e la cultura e vedremo se il premier Conte, come annunciato ieri sera, avrà accolto alcune di queste proposte. Ed è ottimo che proprio nella giornata di oggi tutti i partiti del centrodestra presentino un insieme organico di proposte per contenere gli effetti economici del Coronavirus. Così bisogna lavorare.

Aggiungo un elemento: ci aspettano mesi di minori spostamenti e contatti in cui l’immateriale acquisirà un valore ancora più importante e l’utilizzo della banda larga aumenterà, diventando sempre più essenziale per il prosieguo di molte attività: sanitarie, produttive, sociali, educative. Sul consolidamento della nostra capacità di connettività il governo dovrà saper andare spedito. Si facciano investimenti in questo senso con un commissario ad acta ed in deroga al codice degli appalti. Questa deve essere una priorità. Stiamo tutti scoprendo quanto l’epidemia possa essere un veicolo straordinario per tirare su muri, muri fisici, e porre in isolamento “gli sbagliati”. Purtroppo all’Italia sta capitando proprio questo, ma presto “gli sbagliati” in tutto il mondo occidentale saranno molti di più.

Il Coronavirus ci riporterà all’esperienza del confinamento, molto difficile da vivere in tempi in cui ciascuno di noi è abituato a godere di pressoché sconfinata libertà di movimento, di approvvigionamento, di uso del tempo e dello spazio. Dovremo saper fare i conti con vincoli che pensavamo appartenere ad una vecchia umanità. La nostra intelligenza ci impone di fare in modo che semmai quei muri dovessero erigersi attorno a noi è bene che cingano un territorio fatto di ordine, rispetto delle regole e voglia di farcela.