Facciamo un piccolo gioco. Immaginiamo che quaranta milioni di italiani (su circa sessanta milioni ufficialmente registrati), per una delle cento ragioni legate alla paura del coronavirus rinuncino a spendere anche solo due euro al giorno. Stiamo parlando di un caffè e cornetto, di una bottiglia di acqua minerale, di un chilo di pane, di un pacchetto di caramelle… Tutte cose assolutamente possibili, se si decide di non entrare in un bar, o in un supermercato o in una tabaccheria. Bene: sono 80 milioni di euro sottratti al consumo interno, che moltiplicati per i 30 giorni di un mese, sono 2.400.000.000 (duemiliardiquattrocentomilioni). Se questa paura continuasse a condizionare le piccole azioni di quei 40 milioni di cittadini per un altro mese, si arriverebbe a 4 miliardi e ottocento milioni di euro. Senza esagerare, sarebbero soldi sufficienti a chiudere la bonifica di Bagnoli e a mettere mano al riordino dell’Ilva di Taranto, o a coprire una buona fetta di cassa integrazione straordinaria per i tempi cupi in arrivo. Colpa del coronavirus?

No. Colpa dell’incapacità di governare l’informazione strategica di un Paese già strutturalmente fragile, trasformandola in comunicazione grottesca da talk-show. Il Riformista ha già stigmatizzato il “virus della cattiva informazione”, ma nei giorni scorsi si sono raggiunti livelli clamorosi di “impolitica”.  Il premier Conte ha pensato di entrare nelle case degli italiani in confidenziale maglione fumo di Londra, ma invece di rassicurare ha spaventato mercati e famiglie. Il tentativo di accreditarsi come empatico leader di una coalizione governativa informata e decisa, si è trasformato in una campanella per la libera ricreazione di chiunque avesse un minimo di potere per decidere qualche cosa. Via libera ai governatori delle Regioni, ai direttori scolastici, alle aziende, alle grandi imprese strategiche tipo Trenitalia (avete notato che non ci sono più i controllori dei varchi dell’Alta velocità?

La paura dell’assembramento infettivo è più determinante dei controlli su portoghesi o magari aspiranti attentatori? Sempre che i controlli servissero a questo…); o Alitalia, che da azienda da risanare, e quindi malata, può usare i propri aerei come i monatti usavano i loro carri, per trasportare i presunti appestati, che sarebbero gli italiani lasciati a terra dalle compagnie straniere. Perché? Perché un premier ha giocato al gioco della impolitica attuale, che parla straparla e si parla addosso, senza governare. Perché governare, non è solo creare zone rosse per evitare il contagio, ma è determinare le condizioni per evitare il panico. Domanda: qual era l’obiettivo strategico della ragion di Stato al tempo di emergenza sanitaria non ancora ben definita? Risposta: la salvaguardia della tenuta del Paese. Dunque, poche informazioni, rigorose e precise, date da una fonte scientifica unica, ben indirizzata da una politica prudente.

A Ragion di Stato, appunto. Posizione fascista, dirà qualcuno. Posizione di prudenza e ragionevolezza, diciamo noi. Non dissimile da quella tenuta dai nostri “amici” europei, che fino ad oggi si sono “misurati la palla” con molto giudizio. Un esempio? Ma secondo voi, è statisticamente più probabile che ci siano più contagiati da Coronavirus a Vo’ di Padova (3305 abitanti?) o nei più grandi aeroporti d’Europa (Heathrow, Charles De Gaulle, Francoforte…) dove girano in media 150mila persone al giorno? Vorremmo ricordare che nemmeno ai tempi del colera a Napoli, o della catastrofe di Chernobyl, per non parlare di Ebola, della Mucca Pazza o della Sars, si è fatta tanta confusione e tanto danno all’Italia. Che oggi è un paese in quarantena (interna ed esterna), per un allarme procurato da chi invece avrebbe dovuto contenerlo, e che pagherà uno scotto terrificante soprattutto nell’azienda-turismo che fino all’anno scorso rappresentava il 14 per cento del PIL per un valore della produzione di circa 240 miliardi di euro. E questo per non parlare del blocco della domanda e del consumo interno da cui abbiamo preso le mosse.