L'importanza della scienza
L’epidemia di Coronavirus ci fa riscoprire ignoranti, presuntuosi e fragili

La natura si sta vendicando? Ehi, homo sapiens il Coronavirus ti sta fregando! Ci siamo scoperti ignoranti e forse un po’ presuntuosi. Ignoranti, ignoramus, vale a dire “non sappiamo”. Presuntuosi perché coccolati nella confort zone del nostro quotidiano sapere, ambivamo a obiettivi altissimi. Eravamo orientati e tesi verso l’infinito, verso cime altissime: difficili da raggiungere anche con il solo pensiero. Addirittura l’intelligenza artificiale sembrava essere un buon rimedio per salvarci dalla deficienza naturale. Un taxi spaziale era già pronto per portarci a far visita alla luna: pacchetto andata/ritorno e pranzo al sacco con visita asteroidi. Mega computer grandi quanto una fabbrica capaci di elaborare in un’unità di tempo infinitesima una abnorme quantità di dati. Cose mai viste e sentite, così grandi che diventano inimmaginabili.
Poi, all’improvviso mentre stavamo ancora digerendo le abbondanti libagioni delle festività, come uno scherzo, da un ignoto innocente pipistrello Made in China, sbarca il Coronavirus. Improvvisamente viene a mancare il patto scienza-uomo moderno. E l’ignoranza si trasforma in paura. Ed è naturale che quando la scienza non riesce a dare risposte (“non sappiamo”) si assaltano i supermercati o i forni, dipende dall’epoca. Mancano le processioni (occasioni dove il morbo si diffondeva) con pubbliche fustigazioni e corali canti di litanie. Ora le funzioni religiose sono sospese, matrimoni e funerali possono attendere tempi migliori. Gli aspiranti sposini avranno più tempo per riflettere sull’importante, difficile ed emozionante passo. I secondi, gli ignari protagonisti dei funerali, sono molto meno interessati alla cosa: hanno terminato il tempo terrestre.
Dunque ignoramus et ignorabimus, ed ecco che anche oggi nuovamente si discute dei limiti della nostra comprensione della natura. Allora chiudiamo gli occhi. Sfogliamo mentalmente le nitide fotografie degli sbiaditi luoghi abbandonati, delle fabbriche di Detroit. L’ex capitale mondiale della cantieristica e della produzione di autovetture tende al suo stato naturale: gli alberi avvolgono e soffocano le cadenti strutture in muratura. Dal basso le radici innalzano i pavimenti, gli arbusti fanno il resto. Qui la natura sta vincendo, si sta riprendendo i suoi spazi: spacca e copre. Ed ecco che quando la Cina stava per salire sul gradino più alto del podio, un pacifico abitante della sua terra, della sua distrazione verso la natura e del suo egoismo, l’ha fatta inginocchiare dinnanzi alla realtà. Ha lasciato il segno l’unico mammifero volante, quel buffo volatile notturno che dorme a testa all’ingiù e che si orienta con una specie di radar.
È buffa come immagine: il piccolo pipistrello piega il grande e forte Dragone. La globalizzazione ha fatto il resto: il vigente modello produttivo e commerciale non lascia scampo. Del resto se le fragole a dicembre sulla tavola non destano stupore perché un virus a forma di corona deve starsene confinato nella sua zona d’origine? Il Coronavirus è democratico, silente e gentile: ha un tasso di mortalità molto basso (predilige le persone che già tanto hanno vissuto e già soffrono di altre malattie), fortunatamente non ama i bambini, non fa distinzione di sesso e razza. Il Coronavirus è lo specchio dei nostri tempi: tecnologicamente fragili, ma impauriti. Dimostra i punti di forza e di debolezza dei vari modelli di governance. In Cina la dittatura comunista può quello che i paesi democratici non possono permettersi: costrizioni, censura e privazioni. È, e sarà, il grande partito comunista cinese a sistemare le cose al meglio, con pudore e autorevole dignità anche calpestando i diritti civili. Anche perché, diciamocelo, il modello cinese non ha così a cuore i diritti civili dei cittadini.
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