I decessi Covid hanno scavalcato, contando dall’inizio della pandemia, la soglia dei 138mila. La domanda però è come sono stati, e come vengono tutt’ora conteggiati?. L’Organizzazione mondiale della Sanità detta le linee guida all’Istituto Superiore della Sanità che le applica.
Secondo queste regole un decesso è da attribuire al Covid quando sono presenti contemporaneamente queste quattro condizioni: tampone positivo al momento della morte, un quadro clinico compatibile con i sintomi del virus ( tra cui febbre, tosse, affanno, brividi, dolori muscolari, mal di testa e di gola con perdita di olfatto o gusto), assenza di recupero clinico tra la malattia e la morte, e assenza di una chiara causa di morte diversa dall’infezione. Se le prime tre condizioni sarebbero sufficientemente distinguibili è l’ultimo punto a creare più confusione.
Un esempio: se avviene un decesso a causa di un incidente stradale mentre la persona è positiva, questa non viene conteggiata come un morto Covid. Al contrario se una persona è affetta da una patologia oncologica, cardiovascolare, renale, epatica, oppure ha il diabete, e muore per una di queste cause mentre è positiva, viene conteggiata una morte Covid. La giustificazione che viene fatta per questo distinguo è che “le patologie preesistenti possono aver favorito o predisposto a un decorso negativo dell’infezione” con il virus Sars Cov 2 che diventa determinante per il decesso.
Per molti questa motivazione non è convincente a tal punto da far considerare tutto il conteggio dei morti come sovrastimato. Quali motivi si avrebbero per fare scientemente questa scelta? I dietrologi ci vedono una questione legata ai rimborsi. Qualche giorno prima del ferragosto passato è stato riconosciuto agli ospedali un incremento tariffario massimo (con effetto retroattivo) per ciascun episodio di ricovero superiore a un giorno di 3.713 euro per l’area medica, e di 9.697 euro per la terapia intensiva, come riporta il report firmato Milena Gabanelli per il Corriere della Sera, che giustifica l’incremento “visto il peso di un paziente Covid su tutta l’organizzazione ospedaliera”. Se il paziente poi deceduto è però nel frattempo guarito dal Covid, non si può escludere la tentazione dell’ospedale di attribuire il ricovero e il decesso al virus pandemico.
Secondo il ‘Report sulle caratteristiche dei pazienti deceduti positivi a Sars-CoV-2 in Italia’ pubblicato il 26 gennaio, dall’Iss, dei 138.099 decessi Covid registrati dall’inizio dell’epidemia al 10 gennaio, solo 1.743 sono sotto i 50 anni (l’1,3% del totale), di cui solamente 37 sotto i 19 anni. Le cifre salgono nella fascia tra i 50 e i 69 anni che registra 19.511 decessi (14,1%) ed aumenta esponenzialmente sopra i 70 anni dove sono avvenute 116.840 morti (84,6%), di cui 55.338 tra gli 80 e gli 89 anni, e 26.722 over 90. L’età mediana, ovvero il valore intermedio tra gli estremi, (e non media che è il valore dato dalla somma algebrica degli elementi dell’insieme divisa per il numero degli elementi) dei morti è di 82 anni, mentre quella di tutti i contagiati è di 43 anni.
I dati dell’Iss mostrano che chi è morto mentre aveva il Covid senza nessun’altra patologia concomitante è solo il 2,9% dei deceduti, con una patologia l’11,3%, con 2 il 17,9% e con tre o più il 67,8%. Il fatto che il 97,1% dei deceduti avesse anche altre patologie, non vuol dire comunque che sarebbero comunque passati a miglior vita in breve tempo. In Italia, su una popolazione di quasi 51 milioni di persone con più di 18 anni, oltre 14 milioni convivono con una patologia cronica, e di questi 8,4 milioni sono ultra 65enni. Più sale l’età, meno persone muoiono senza avere altre malattie, semplicemente perché l’invecchiamento porta con sé patologie.
Dall’analisi a campione fatta su 1.642 cartelle cliniche, per confrontare i decessi tra i non vaccinati e i vaccinati, raccolte tra febbraio 2021 e il 10 gennaio 2022, il 3% dei non vaccinati è morto senza avere altre patologie contro lo 0,6% dei vaccinati con ciclo completo. Tra coloro che avevano una patologia: il 10,2% dei non vaccinati contro il 6,2% dei vaccinati; con due patologie il 17% dei non vaccinati contro il 9,5% dei vaccinati, con 3 o più patologie il 69% dei non vaccinati contro l’83,7% dei vaccinati con ciclo completo. Le morti si concentrano sui pazienti con tre e più malattie e, anche in persone già ammalate, il Covid può togliere anni di vita.
Le morti sono avvenute per la maggior parte nei reparti Covid ordinari (58,5%), poi in terapia intensiva (23,8%) e infine tra i non ricoverati quindi nella propria abitazione, casa di riposo o ospizi (17,7%). Scrive l’Iss: “Sotto gli 80 anni, il 44% è stato ricoverato in un reparto di terapia intensiva, il 42,3% in ospedale ma non in terapia intensiva, il 13,7% in nessuno dei due. Di contro, negli over 80, l’8,2% è stato ricoverato in un reparto di terapia intensiva, il 71,1% in ospedale ma non in terapia intensiva, e il 20,7% in nessuno dei due” perché che chi è molto compromesso di salute, tendenzialmente non viene ricoverato in rianimazione perché intubarlo servirebbe solo a farlo soffrire ulteriormente
