Le elezioni regionali in corso in Italia stanno rivelando un dato inequivocabile: gli elettori sono sempre più stanchi di campagne elettorali che trasformano la competizione locale in un ring per regolare conti nazionali o internazionali. I risultati delle urne nelle Marche e in Calabria, dove rispettivamente Francesco Acquaroli e Roberto Occhiuto hanno trionfato con oltre il 52% e il 57% dei voti, raccontano una storia che va ben oltre i titoli di giornata. Raccontano di territori che chiedono risposte, non slogan.

L’affluenza al voto parla chiaro

Nelle Marche si è recato alle urne appena il 50% degli aventi diritto, in Calabria il dato è ancora più drammatico: 43,14%, quasi 10 punti in meno rispetto al 2020. Quando metà degli elettori sceglie di non presentarsi al seggio, il messaggio è: la politica appare distante, autoreferenziale, incapace di parlare alle persone. Le campagne elettorali si sono trasformate in un fiume di dichiarazioni sulla politica estera, sulle alleanze nazionali. Schlein contro Meloni, Conte contro Salvini, il “campo largo” contro la destra. Perfino Gaza contro Israele. Ma queste elezioni riguardano il governo delle Regioni, le politiche sanitarie locali, lo sviluppo economico territoriale, i trasporti regionali, l’ambiente. Non Palazzo Chigi.

Le esigenze specifiche dei territori non possono essere ignorate

La Toscana che si prepara al voto il 12 e 13 ottobre ha un PIL che nel 2024 è cresciuto solo dello 0,6%, al di sotto della media nazionale dello 0,7%, con una produzione industriale in calo del 4,4% – peggio della media italiana – a causa della crisi del settore moda che ha registrato un crollo dell’11,4%. Il tasso di disoccupazione si mantiene al 5,4%, ma i lavoratori in cassa integrazione sono più che raddoppiati, passando da 5.486 a 11.477 unità. Il comparto moda, fiore all’occhiello dell’export toscano, vede il 9,3% dei lavoratori del cuoio sotto ammortizzatori sociali. Gli elettori toscani vogliono sapere come si intende affrontare la crisi della manifattura, come si proteggerà il made in Tuscany dalla concorrenza sleale, come si sosterranno le famiglie colpite dalla perdita del lavoro.

Regionali Veneto, una storia diversa ma emblematica

Il Veneto, che invece andrà al voto il 23 e 24 novembre, racconta una storia diversa ma altrettanto emblematica. Con un PIL pro capite di 40.639 euro – il 12,5% sopra la media nazionale – e un tasso di disoccupazione al 3%, tra i più bassi d’Italia, la regione gode di una solidità economica invidiabile. Il turismo ha raggiunto nel 2024 cifre record, con 18,3 milioni di passeggeri negli aeroporti (+3,1%) e una crescita delle merci nei porti del 3,7%. Eppure, anche qui i problemi non mancano: l’export è in calo dell’1,2% nel primo trimestre 2025, l’inflazione ha toccato il 2,2% spinta dai beni energetici, e il numero di imprese attive è diminuito dello 0,8%. I veneti vogliono sapere come si intende sostenere le PMI in difficoltà, come attrarre investimenti in innovazione e come mantenere competitivo un sistema produttivo che rappresenta il 9,3% del PIL nazionale.

Le Regioni non sono bancomat elettorali da svuotare per guadagnare consensi in vista delle prossime politiche

I territori italiani sono profondamente diversi tra loro. La Calabria che ha votato pochi giorni fa affronta problemi di sottosviluppo strutturale che nulla hanno a che vedere con le priorità della Lombardia. La Toscana, con la sua crisi manifatturiera, ha bisogno di politiche industriali mirate che poco c’entrano con le esigenze della Puglia agricola o della Liguria portuale. Continuare a propinare lo stesso copione nazionale è inutile e offensivo per gli elettori. Le prossime elezioni regionali in Toscana, Veneto, Campania e Puglia rappresentano un’occasione per invertire la tendenza negativa dell’affluenza alle urne. Ma servirà il coraggio di tornare a fare politica territoriale, con programmi seri, credibili, misurabili. Altrimenti, i seggi elettorali saranno destinati ad andar deserti. E non potremo più dare la colpa agli elettori, sostenendo magri che “non hanno capito”.