La riforma costituzionale che separa le carriere dei magistrati è legge. Dopo il voto definitivo del Senato, l’Italia si prepara a una consultazione popolare che, in primavera, potrebbe ridefinire il rapporto tra politica e giustizia. Il referendum confermativo, senza quorum, si annuncia come un banco di prova non solo per il governo, ma per l’intero sistema democratico. Non si tratta di un tema tecnico per soli addetti ai lavori: la distinzione tra chi indaga e chi giudica tocca l’equilibrio dei poteri, la tutela dei diritti e la credibilità delle istituzioni.

La riforma Nordio modifica l’articolo 104 della Costituzione, introducendo la distinzione tra magistratura giudicante e requirente. D’ora in avanti, chi entra in magistratura dovrà scegliere se essere giudice o pubblico ministero, senza possibilità di passaggio. Nascono inoltre due Consigli Superiori della Magistratura — uno per ciascuna funzione — presieduti dal Capo dello Stato. Il potere disciplinare, oggi in capo al CSM, verrà trasferito all’Alta Corte disciplinare, un nuovo organismo composto da giuristi, magistrati e membri di nomina parlamentare. L’intento dichiarato del governo è rafforzare l’imparzialità del giudice e la chiarezza dei ruoli, separando nettamente chi accusa da chi giudica. Una visione liberale in apparenza, ma che apre interrogativi profondi sulle garanzie di indipendenza.

Il punto politico è l’equilibrio tra autonomia della magistratura e responsabilità verso la collettività. I fautori della riforma ritengono che la distinzione delle carriere renda la giustizia più trasparente, tutelando meglio i cittadini da possibili commistioni tra giudici e pubblici ministeri. Le opposizioni, invece, temono una deriva “governativa” del pubblico ministero, che potrebbe trovarsi più vicino al potere esecutivo. Il rischio, dicono, è che l’azione penale non sia più esercitata in piena libertà, ma diventi condizionabile, come accade in altri ordinamenti europei dove il ministero della Giustizia esercita un potere d’indirizzo.

Il voto di primavera sarà inevitabilmente anche un test politico. La maggioranza punta a farne un simbolo di efficienza istituzionale, mentre le opposizioni — pur divise — cercheranno di trasformarlo in un referendum sull’autonomia della magistratura e, di riflesso, sul governo Meloni. Per i liberali e i riformisti europeisti, la vera sfida non è difendere o attaccare la magistratura, ma costruire un sistema di pesi e contrappesi che garantisca indipendenza, responsabilità e tempi certi della giustizia. La separazione delle carriere può essere una riforma utile, ma solo se inserita in un progetto complessivo che rafforzi le garanzie e non le indebolisca. In gioco, ancora una volta, non è solo la giustizia: è la qualità della nostra democrazia costituzionale.

Riccardo Renzi

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