Il PD vive un triplo impasse. La segreteria di Elly Schlein è martellata dall’interno; le correnti riformiste si organizzano, come si è visto a Milano dieci giorni fa; Romano Prodi usa i grandi giornali per sottolineare l’inadeguatezza della segretaria di fronte alla complessità – anche internazionale – del quadro politico. Le regionali vanno al voto tra venti giorni: Campania, Puglia e Veneto devono confermare o cambiare segno. I Dem hanno sposato il No, come linea nazionale, anche se al loro interno il dibattito è quantomai aperto.

Ma proprio dalla Puglia al voto, gli strateghi del Nazareno hanno un problema con un ex magistrato: si chiama Michele Emiliano. Sulla riforma della giustizia, ha detto, «l’Anm deve darsi una calmata perché rappresenta i magistrati. Questi possono esprimere i loro convincimenti, ma lo devono fare con grande cautela: non possono contrapporsi sul piano politico su un referendum al Governo». Quindi, i magistrati «non devono costituirsi come comitato per il “no” perché sembra una difesa esclusivamente corporativa che rischia di peggiorare la percezione dei cittadini. I magistrati devono fornirci riflessioni e informazioni necessarie per capire, senza entrare in un contraddittorio con il Governo». In Puglia hanno dunque capito quanto può essere scivoloso il No in questo momento. In Campania, dove il tema giustizia è sentito e il garantismo è forte, la campagna per il referendum potrebbe soffiare come vento a favore per il candidato del centrodestra Edmondo Cirielli, che negli ultimi giorni vede ridursi lo scarto nei confronti di Roberto Fico.

Nel frattempo, si moltiplicano i Comitati per il Sì. Crescono gli appelli dei liberali, dei socialisti riformisti e dei giuristi progressisti, ciascuno con un lessico che rifiuta il derby «pro/contro Governo» e riporta la discussione al merito delle norme. Tra i primi, il comitato liberale “Si Separa”, presieduto da Gian Domenico Caiazza, già presidente delle Camere Penali Italiane e direttore di PQM, l’inserto giuridico del Riformista. Insieme a Caiazza, il direttore Claudio Velardi, Giuseppe Benedetto, Andrea Cangini, Anna Paola Concia, Piercamillo Falasca, Ernesto Galli della Loggia e Antonio Di Pietro. Sul fronte socialista riformista, gli ex ministri Claudio Signorile e Salvo Andò, insieme a Fabrizio Cicchitto, sono tra i promotori del “Comitato Giuliano Vassalli per il SÌ”, costituito per sostenere la riforma della giustizia al referendum. E soprattutto si afferma la voce dei giuristi progressisti, che mettono in circolazione un manifesto capace di incidere sul dibattito, spostandolo dal tifo al merito.

A firmare l’appello, decine di avvocati tra cui Maria Brucale e l’avvocato Michele Passione, Dario Lunardon, Aurora Matteucci. «Già da tempo i partiti di opposizione e larghi settori della magistratura hanno cominciato a manifestare apertamente la propria ferma avversione alla Riforma, iscrivendo tutti i suoi fautori tra i nemici della magistratura e della Costituzione e facendone – per ciò solo – strenui sostenitori del Governo Meloni e delle sue politiche. Abbiamo deciso di esprimere il nostro disagio di fronte a questa identificazione: siamo dichiaratamente a favore della separazione delle carriere ma allo stesso tempo respingiamo ogni identificazione con l’attuale maggioranza politica e questo Governo, contro i cui provvedimenti in tema di giustizia (dal decreto sicurezza al disegno di legge sul femminicidio, passando per il carcere) abbiamo sempre manifestato la nostra più ferma contrarietà».

«Per questo rivolgiamo un appello alla politica e, in particolare, a tutte le forze di opposizione, affinché non alimentino ulteriormente questo equivoco che inquina un serio e costruttivo dibattito sui temi della Riforma, che nessuno di noi intende invocare contro la magistratura». Proseguono poi i giuristi: «Sosteniamo questa Riforma perché crediamo che chi svolge le indagini e conduce l’accusa non può compartecipare alla medesima organizzazione di chi è chiamato a decidere della fondatezza di quell’accusa. La separazione delle carriere non è, per noi, una riforma “contro” qualcosa o qualcuno, ma è una riforma per princìpi ben precisi: la garanzia di terzietà del giudice e la centralità del processo», scrivono gli avvocati. E concludono: «Partecipiamo al dibattito pubblico sulla Riforma con spirito di dialogo e di rispetto».

Dopo il manifesto, il punto politico. Viene ormai sempre più allo scoperto chi scorpora la riforma dalla tifoseria “anti-Meloni” e rimette al centro testi, garanzie e bilanciamenti. Per il PD, la scelta è tra sventolìo di bandiere e merito. La linea del No non convince tutti. Ma riconoscere che il testo della riforma funziona, questo no. Il Nazareno non lo può fare. Potrebbe essere il test delle regionali a convincere i riottosi.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.