"L'Anm non può fare politica"
Separazione “storica” delle carriere, la commozione di Sisto: “Attaccati alla Costituzione liberiamo le toghe dalle correnti”
Il viceministro della Giustizia: “Restituiamo dignità alla magistratura, cittadini più sicuri con un pm terzo. Noi non attacchiamo la Costituzione: noi ci attacchiamo alla Costituzione, l’articolo 111 è la stella polare”
Francesco Paolo Sisto è emozionato. Al telefono non nasconde la commozione per un traguardo che definisce «storico». Non solo perché i cittadini potranno finalmente contare su un giudice davvero terzo, ma anche perché i magistrati saranno liberati dalla morsa delle correnti. Vinta la sfida parlamentare, ora si andrà al secondo tempo, senza calci di rigore: per vincere il referendum, previsto tra marzo e aprile, basterà un solo voto in più, senza quorum. C’è ottimismo sul via libera degli italiani, ma il viceministro della Giustizia e senatore di Forza Italia avverte: «Non trasformiamo il referendum in una questione politica, opposizione contro governo, né in una “singolar tenzone” fra politica e magistratura».
È una giornata storica?
«Assolutamente sì. È una giornata storica non solo per il principio affermato, ma anche perché il risultato non è un colpo di mano della maggioranza: il provvedimento è stato votato anche da una parte delle opposizioni. È un processo di maturazione, molto lento per la verità, che ha condotto il Parlamento a questo voto. La riforma? Migliora il processo perché dà più sicurezza al cittadino, lo rassicura. Un cittadino che ha un giudice terzo e imparziale, equidistante da chi accusa come da chi difende, si sente certamente più rassicurato. Ma mi faccia aggiungere un’osservazione».
Prego.
«È una giornata storica anche perché noi, oltre al cittadino, intendiamo proteggere pure i magistrati. Con questa riforma li liberiamo dal giogo, dal peso delle correnti: oggi se un magistrato vuole fare carriera deve essere, quale primario requisito, iscritto o vicino ad una corrente. Una meritocrazia correntizia prima e personale dopo, con l’altra conseguenza, a nostro avviso importantissima, che, con il sorteggio – forse inelegante, ma sicuramente indispensabile – non ci sarà più nessun bisogno per i componenti del Consiglio superiore della magistratura di essere iscritti alle correnti».
Allora perché l’Anm è sulle barricate e aizza gli animi?
«È chiaro che noi troveremo fortissime resistenze da parte della magistratura correntizia. Perché abbandonare il pluriennale potere delle correnti è operazione di difficile digestione. Dopo tanti anni patologici, possiamo cancellare quello che ci è stato raccontato dalle rivelazioni di Palamara. Le correnti di pensiero sono diventate cordate di potere, e non va bene. Con la riforma possiamo restituire alla magistratura maggiore dignità e credibilità, come giusto ed auspicabile. Il giudice, con la sua autorevolezza accentuata, è elemento centrale, fondante in questa riforma. L’Anm delle correnti protesta? Lo fa, a mio avviso, in modo fortemente discutibile con i comitati referendari per il no. I comitati referendari, per disposizione normativa, sono ad ogni effetto organismi politici, ed è noto che la magistratura non può e non deve fare politica. Il rischio è che il cittadino abbia una percezione della magistratura stessa distorta, lontana da quell’apparire, oltre che essere, non di parte, come il Presidente Mattarella a maggio scorso ha espressamente indicato ai giovani magistrati. E diciamoci con molta franchezza un’altra cosa».
Cosa?
«Non ho ascoltato ragioni concrete su questo presunto nostro attacco alla Costituzione. Sia chiaro: noi non attacchiamo la Costituzione; ci attacchiamo, invece, alla Costituzione, all’articolo 111, assunto come parametro delle nostre scelte. Ricordo che il Partito democratico, nel 2019, era favorevolissimo alla separazione delle carriere, con illustri esponenti, in Parlamento anche oggi. Hanno cambiato idea? Perché è una riforma che è griffata centrodestra?».
Dal punto di vista comunicativo, come si può evitare che passi per una chiamata alle urne su un tema estremamente tecnico?
«È semplicissimo. Ai cittadini basta chiedere: volete una giustizia migliore? Se entrate in un’aula e il giudice è diverso da chi vi accusa, vi sentite più rassicurati? La risposta è sì, esattamente quella che noi vogliamo al referendum. È chiaro, noi abbiamo vinto il primo tempo parlamentare 1-0. C’è adesso il secondo tempo, senza supplementari, quello del referendum. Basta vincere 2-0, basta un voto in più del no. Una riforma positiva, non oppositiva: protezione del cittadino, liberazione del magistrato».
Antonio Di Pietro al Riformista ha annunciato che voterà sì. Ma ha avvertito: «Forza Italia non metta il suo cappello e non dica che la riforma è una rivendicazione di Berlusconi». In effetti, con questi errori di comunicazione c’è il rischio di far vincere il no…
«È un cavallo di battaglia del garantismo e del diritto penale liberale da oltre 30 anni, e viene da molto lontano. Viene da Matteotti, Calamandrei, Chiaromonte, Terracini, Moro e Falcone. Ha dei padri illustri. Poi ha un padre moderno, Silvio Berlusconi, che ha raccolto il testimone di questi illustri predecessori e ne ha fatto una grande battaglia politica e personale. L’importante è non trasformare il referendum in una questione politica, opposizione contro governo. Non è questo che ci chiedono i cittadini e non è questo l’oggetto del contendere».
Mercoledì sera è arrivato lo stop della Corte dei conti al Ponte sullo Stretto. È una delle ultime «disperate invasioni di campo» prima della riforma?
«È comprensibile un po’ di risentimento-stupore per quello che è accaduto rispetto ad un’opera ultra strategica, bloccata per presumibili motivi formali. Sono convinto che, leggendo le motivazioni, saranno ben possibili interventi che consentiranno in tempi brevi di raggiungere l’obiettivo, fondamentale anche per noi di Forza Italia, Antonio Tajani in testa».
Dopo il referendum sarà il turno della responsabilità civile dei magistrati?
«La concentrazione massima è sulla fase referendaria. E dopo il referendum abbiamo una serie di provvedimenti da affrontare, nel processo penale, oltre che in quello civile. Sempre con naturale garbo, ma con la ferma decisione di chi si sforza di fare il bene per il Paese».
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