La riforma della giustizia
Separazione delle carriere, parte la raccolta firme per il referendum: il campo largo utilizzerà “il fattore Renzi”
Arriva l’ok di Azione, Italia Viva si astiene. Meloni esulta: “Un impegno mantenuto verso gli italiano”. Il campo largo proverà a trasformare la consultazione popolare in un voto sull’operato del governo
Fuori dall’Aula del Senato, dove tra applausi, pianti di gioia e schiamazzi si consuma l’ultima pagina di una battaglia trentennale, aleggiano i fantasmi di Silvio Berlusconi e Marco Pannella. I due “padri nobili” della riforma che separa le carriere di giudici e pubblici ministeri – un’idea inseguita per decenni e ora incisa nella Costituzione, almeno fino al referendum confermativo. Il leader radicale ci aveva provato nel 1993 e poi tentò la strada del referendum nel 2000; il fondatore di Forza Italia ne fece una crociata personale, senza mai raggiungere l’obiettivo. Dopo trent’anni di scontri feroci, il Parlamento chiude il cerchio con la quarta lettura, un voto che trasuda simbolismo e rivendicazioni, in linea con il passato.
Dentro l’Aula, l’atmosfera è da rappresentazione d’epoca: applausi, tensioni, memoria politica. Insomma, non è un giorno da ordinaria amministrazione. Giorgia Meloni sorride e scrive sui social: “Un traguardo storico, un impegno mantenuto verso gli italiani”. Sul fronte opposto, Elly Schlein scuote la testa: “La premier vuole mani libere sulla magistratura”. Poi prende la parola Roberto Scarpinato, senatore 5 Stelle ed ex pm, che torna per un attimo al vecchio mestiere. “In Italia esiste una larga maggioranza di persone che non se la beve la panzana secondo cui Berlusconi, Dell’Utri, Cosentino, Matacena, Previti e compagnia erano fiori di giglio e vittime della magistratura politicizzata”. Un’arringa da tribunale della memoria che incendia i banchi di Forza Italia, dove i senatori ribollono. Poco dopo, si riversano in Piazza Navona per un flash mob sotto l’effige del Cavaliere. È lì che Adriano Galliani, con la voce rotta dall’emozione, dedica la riforma all’amico di sempre: “Un impegno storico, nel segno del garantismo, della libertà e dello Stato di diritto. Dall’alto Silvio ci vede e sarà contento”.
Ai voti del centrodestra si aggiungono quelli di Azione, oltre all’astensione dei senatori di Italia Viva. Carlo Calenda consiglia al centrodestra la linea da tenere: “Liberare i Csm dalle correnti e garantire la terzietà del giudice sono obiettivi che tanti cittadini condividono. La guerra alla magistratura no”. Per Matteo Renzi invece è “una riformicchia per piantare la bandierina”. Più convinto il sì del Partito Liberaldemocratico: a Montecitorio il segretario Luigi Marattin aveva votato a favore del testo. E il presidente Andrea Marcucci conferma: “La separazione delle carriere dei giudici è il coronamento di una battaglia di civiltà giuridica che unisce i liberali di tutti gli schieramenti”. Coglie la palla al balzo la deputata di Forza Italia, Isabella De Monte: “Il referendum confermativo sarà l’occasione per riunire centristi e riformisti di tutti gli schieramenti”. Infatti non finisce con il via libera dell’assemblea del Senato (con 112 voti favorevoli, 59 contrari e 9 astensioni): tra marzo e aprile, probabilmente, si terrà il referendum confermativo. Un bivio che sarà considerato dirimente, che di fatto anticiperà le elezioni politiche che si terranno l’anno dopo, forse determinandone l’esito.
Intanto i capigruppo di maggioranza di Palazzo Madama hanno avviato le procedure per la raccolta delle firme dei senatori necessarie per la richiesta del referendum popolare. Da domani entrerà in gioco il “fattore Renzi”, il presidente del Consiglio che nel 2016 personalizzò il referendum costituzionale e fu costretto a lasciare Palazzo Chigi. O meglio, questo sarà lo schema che utilizzerà il campo largo: trasformarlo in una consultazione sulla stagione di governo di Giorgia Meloni. In pratica, un attacco ad alzo zero contro la destra “liberticida” che soffoca la libertà e la democrazia, come la segretaria del Pd ha detto la settimana scorsa dal congresso del Partito socialista europeo. La spallata servirebbe anche a nascondere le divisioni che il Pd ha al suo interno sul tema giustizia. Come ha confermato ieri lo storico dirigente Claudio Petruccioli: “Al referendum voterò sì. Già nel 1987 quando venne approvata la riforma del processo in senso accusatorio, mi convinsi che quella riforma dovesse comportare la separazione delle carriere tra pm e giudici”. Intanto da qualche parte Pannella e Berlusconi se la ridono.
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