Matteo Salvini ha ragione su tre punti: il caso della nave Gregoretti non è diverso da quello della Diciotti; il governo non poteva non sapere del blocco deciso dal ministro degli Interni nel luglio scorso (anche perché era sufficiente leggere i giornali); il M5S si è sempre accodato al Capitano nelle sue pagliacciate, messe in scena a spese dei migranti e, nonostante qualche mal di pancia, ha votato i due decreti sulla sicurezza.
Nessuno di questi argomenti, tuttavia, ha un rilievo di carattere giuridico (ed è su questo aspetto che è stata chiesta e concessa l’autorizzazione a procedere contro il leader della Lega). È necessario, allora, cercare di mettere in fila le cose per il verso corretto, senza intrecciare la politica con la legalità. Sul piano politico è sicuramente rilevante che il M5S – i cui esponenti, insieme al premier Conte, in versione giallo-verde, arrivarono persino ad autodenunciarsi, ai tempi della Diciotti, per solidarietà con Salvini – abbia assunto una linea di condotta differente sul caso Gregoretti. Ciò non significa, però, che il comportamento del ministro di Polizia fosse legittimo, perché l’azione della magistratura venne impedita dal voto del Senato e non fu consentito nessun accertamento sul piano giudiziario.
È poi opportuno ricordare che la maggioranza giallo-verde non si era spartita solo i ministeri, ma anche le politiche. Luigi Di Maio era plenipotenziario per il Lavoro e lo Sviluppo, la brutalizzazione delle istituzioni; Matteo Salvini aveva in suo potere esclusivo le pensioni, la sicurezza e l’immigrazione: due problemi, questi ultimi, che per lui coincidevano. Così Di Maio ha potuto far approvare il reddito di cittadinanza e il decreto dignità con i voti della Lega, che non ha esitato, in questo modo, a deludere gran parte dei suoi elettori. Salvini ha avuto mano libera nelle materie che aveva rivendicato e ottenuto nella spartizione delle aree di influenza, anche se qualche “anima bella” pentastellata non era del tutto convinta. Chi non ricorda Roberto Fico che lascia la presidenza quando la Camera vota la fiducia al decreto sicurezza bis?
Del resto il Capitano, quando il trio Capinera del governo giallo-verde si compiaceva dell’approvazione del decreto n. 4 del 2019, si era limitato ad esibire un cartello dove stava scritta solo “quota 100”. E quando Alfonso Bonafede riuscì a far passare nel decreto “spazza corrotti” la sospensione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio, Salvini fece finta di non capire che cosa aveva votato.
Si potrebbe continuare a lungo sulla quadriglia tra due governi e due maggioranze che hanno ruotato in-torno al medesimo presidente del Consiglio. Per concludere che il M5S si è messo a criticare provvedi-menti che aveva votato, ma la Lega non ha fatto diversamente, fino alla baggianata di cadere dalle nuvole sulla proposta di riforma del Mes, negoziata dall’esecutivo di cui era parte egemone.
Ma saltiamo le vicende dell’agosto più pazzo del mondo e arriviamo al voto del Senato che ha concesso l’autorizzazione a procedere (è solo un primo atto di un processo che potrebbe chiudersi ben presto). Di che cosa viene accusato Salvini? Di sequestro aggravato di persone e di altri reati minori tutti connessi al fatto di aver impedito ad una nave della Marina militare italiana, con a bordo un gruppo di naufraghi raccolti in mare (come prevedono i trattati internazionali) di attraccare in un porto sicuro. Il Capitano si è van-tato di aver difeso i sacri confini della Patria, dimenticando che la plancia della nave Gregoretti era di per sé l’Italia e quei poveracci erano già in territorio italiano e con loro c’era un equipaggio di concittadini.
A volte basterebbe una risata per smontare una provocazione politica. Salvini è andato in giro per il Paese gloriandosi di aver evitato lo sconfinamento da parte di una nave militare battente bandiera tricolore e impedito che la nostra sicurezza fosse minacciata da un centinaio e poco più di persone debilitate ed af-famate, uomini, donne, bambini, come se fossero l’esercito del Negus in cerca di vendetta.
Un’altra singolare tesi (ne è stato portavoce autorevole – e stupefacente – Pier Ferdinando Casini al Senato) è quella secondo la quale la magistratura non deve mettere il naso nelle decisioni della politica. In so-stanza, è consentito ai ministri di violare la legge, in nome della politica? Sembra di essere tornati ad Alessandro Dumas e ai Tre Moschettieri e al salvacondotto che il Cardinale Richelieu rilascia alla perfida Milady de Winter: «Il latore del presente ha fatto quello che ha fatto per ordine mio e per il bene dello Stato».
Peraltro, nel caso della nave Gregoretti, Salvini non si è limitato a violare tutto ciò che era possibile violare, ma è riuscito persino a non attenersi alle “sue” leggi.
L’articolo 1 del decreto sicurezza bis non lascia spazio agli equivoci quando recita: Il Ministro dell’interno, Autorità nazionale di pubblica sicurezza […] nell’esercizio delle funzioni di coordinamento […] e nel rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia, può limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale (il neretto è nostro), per motivi di ordine e sicurezza pubblica […]. C’è solo un principio alla base della idea del diritto che contraddistingue Matteo Salvini: il fuhrerprinzip.
