Il Senato ha deciso di mandare a processo Matteo Salvini. È accusato di sequestro di persona, cioè di essere un gangster. Nessuno pensa che davvero Salvini sia un sequestratore di persona. Oltretutto il sequestro di persona è un reato che in Italia non si commette più da tanti anni. Molti però, in Senato e nei partiti, credono che sia utile politicamente mandare a processo Salvini. Altri pensano che sia utile mandare a processo chiunque, tanto più, dunque, Salvini. Altri ancora immaginano che se i Pm ti chiedono qualcosa devi rispondere signorsì, perché solo così si migliora la società. La società ideale, per alcuni, è quella: la caserma, lo sbattere di tacchi di fronte all’autorità.

Il Senato ha deciso così. 152 voti contro 76. I senatori della Lega non hanno partecipato al voto. Ha stabilito che la decisione di Salvini, quando era ministro dell’Interno – concordata per altro con il governo – di non far sbarcare per diversi giorni un gruppo di profughi arrivati a terra a bordo della nave Gregoretti, non fu una decisione politica ma un atto criminale. E che sia giusto, per questo atto, processare Salvini e – ragionevolmente – condannarlo a una pena che, più o meno, può oscillare tra i cinque e i quindici anni di prigione.

Vado a memoria ma non credo di sbagliarmi: è la prima volta nella storia della Repubblica che il Parlamento decide di mandare a processo il capo dell’opposizione. Forse è la prima volta, almeno nel dopoguerra, non solo in Italia ma in tutta l’Europa democratica. Gli unici precedenti sono nella Spagna di Franco, nella Grecia dei Colonnelli, nel Portogallo di Salazar e nei paesi dell’Europa comunista.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.