Schiavi dei social: servono regole

Il vero progresso si compie nel momento in cui una novità entra a far parte armonicamente del tessuto sociale: non basta che una cosa sia nuova per definire il progresso, occorre che venga “digerita” dalla storia.
Quante volte prima arriva la novità, e successivamente ne nasce una regolamentazione, spesso a seguito di eventi eclatanti che ne fanno emergere limiti e necessità, pericoli e occasioni. I controlli in aeroporto non ci sono sempre stati, i seggiolini per bambini non ci sono sempre stati, i limiti di velocità non ci sono sempre stati.

L’incidente di Roma che ha provocato la tragica morte di un bimbo di 5 anni offre uno spunto di riflessione che in questo senso che va al di là della diatriba cui stiamo assistendo in questi giorni tra difensori e accusatori degli youtuber. Ipotizziamo che non sia mai avvenuto alcun incidente. Rimangono i fatti: ragazzi di venti anni guidano sotto uso di sostanze stupefacenti un potente suv noleggiato e lo fanno filmandosi per realizzare un video da caricare su YouTube, dove sono seguiti da centinaia di migliaia di followers e guadagnano decine di migliaia di euro l’anno. Possiamo dire che va tutto bene?

Io credo di no, e non solo per gli aspetti più ovvi (la guida sotto uso di stupefacenti e un potente suv in mano a un ventenne). L’aspetto più complesso e al contempo più interessante è il rapporto con questa “novità” della popolarità rapida, dei social, di YouTube e delle challenge, dei giovani che hanno accesso a tutto, dell’incredibile attrattività del mondo virtuale.

Il rischio più grande che possiamo correre è quello di sentirci padroni di un’era appena cominciata. Quante volte guardando a come gli uomini nel passato si approcciavano a novità tecnologiche pensiamo a quanto erano goffi e sprovveduti. Ecco noi dobbiamo essere coscienti che siamo i disadattati della tecnologia globalizzata. Abbiamo la responsabilità che tutto questo entri a far parte armonicamente della società e della nostra vita, facendo attenzione a non subordinare questo processo a un esasperato concetto di libertà per cui “se posso farlo è giusto” che porta quasi inconsapevolmente a non vedere la realtà.

E la realtà in questo caso è che ci sono giovani spensierati che hanno il potere di fare bravate non nella loro cameretta o con qualche amico (come capitato a tutti), ma che lo possono fare come se fossero in uno stadio di milioni di adolescenti che guardano e ridono. È da questo dato che non possiamo prescindere. Abbiamo ventenni guardati da milioni di ragazzi di 11-17 anni che più sono guardati più sono spinti a essere guardati.

Da un lato allora è urgente regolamentare i contenuti social e gli accessi perché ad oggi tutto è usufruibile praticamente allo stesso modo da tutti. I responsabili di contenuti che incitano a comportamenti illegali devono essere perseguiti così come devono esserlo le piattaforme che su questo non fanno filtro. Poi dovremmo imparare a sfruttare la popolarità di questi giovani coinvolgendoli in campagne di sensibilizzazione mirate in modo da farli crescere nell’uso consapevole della loro popolarità.
Ma soprattutto c’è il tema educativo. Se da un lato potremmo scoperchiare il vaso di Pandora dell’educazione familiare notoriamente in crisi, tassello fondamentale per insegnare un uso adeguato dei potentissimi smartphone, dall’altro occorre chiedersi se davvero come società non possiamo avere una preoccupazione corale da questo punto di vista. Assistiamo a intere generazioni che cercano risposte – o rifugi – virtuali e il cui scopo sembra ottenere continuamente un risultato da portare nel virtuale (una storia, un post, un video).

Allora la vera sfida è contrastare il vuoto che spesso caratterizza i social tramite un vero incontro culturale ed educativo, all’altezza del fermento dell’adolescenza. Per questo è più urgente che mai far emergere le proposte educative presenti nel Paese, anche attraverso la parità scolastica. Altrimenti i social non regolamentati e senza valide alternative ci renderanno più schiavi che liberi.