Schlein versione monoblocco, Elly manda i riformisti al riformatorio: la linea dei 5 “si” e la conta del campo largo

I riformisti? “Non esistono, la linea del Pd è una sola”. Il riflesso condizionato è tornato: “Anche nella criniera di un nobile cavallo da corsa si possono sempre trovare due o tre pidocchi”. O sei. Come i firmatari della lettera che rompe l’incantesimo sul referendum dell’8-9 giugno. Lorenzo Guerini, Pina Picierno, Giorgio Gori, Filippo Sensi, Marianna Madia, Lia Quartapelle: nomi di peso nella minoranza dem. I quali, con una calma tutta istituzionale, comunicano che no, non voteranno i tre quesiti sul Jobs Act: “La condizione del lavoro in Italia passa dal futuro, non da una sterile resa dei conti con il passato”. Tradotto: due sì (cittadinanza e appalti), tre schede lasciate al banco. La vicepresidente del Parlamento europeo, Picierno, lo ribadisce: “Non serve una divisione sindacale fondata su tentativi di abiura e rimozione”. Quanto basta per agitare il Nazareno, che a caldo incoraggia le risposte agli “ingrati”.

Referendum: Pd va dai cinque si a tre schede sul banco

La prima a schierarsi è la bersaniana Maria Cecilia Guerra: “Esprimersi si può, ma quella non è la posizione del Pd”. E la senatrice Susanna Camusso, a ruota: “Il partito ha un’opinione chiara: cinque sì”. Punto. Insomma, il ritorno di Togliatti: il dissidente ora almeno può parlare, purché non si sogni di porre una questione politica. Una scena tragicomica. Il gruppo dirigente di Elly Schlein, perlopiù estraneo alla storia democratica, pretende che il Pd rinneghi sé stesso. Così, gli stessi parlamentari (presieduti allora da Roberto Speranza e da Luigi Zanda) che nel 2014 votarono con entusiasmo il Jobs Act, oggi devono sconfessarsi in pubblico con il capo cosparso di cenere.

Schlein versione monoblocco

Il Pd a due facce: prima e dopo Elly. Il passato va rimosso, esiste solo il presente, in versione monoblocco. Prima la firma in solitaria della richiesta referendaria della Cgil. Poi, a cose fatte, la direzione chiamata a ratificare. Nessun dibattito, con la minoranza che non partecipò al voto. Tanto la segretaria ha già scelto il suo campo: Corso Italia, Giuseppe Conte, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni. I referendum sono il test sul circuito. E servono almeno tre risultati: chiudere il capitolo renziano con atto notarile; chiarire internamente che “i riformisti non esistono”, qui si esegue; quantificare lo zoccolo duro dell’alleanza in fieri (il più ambizioso).

La linea “cinque sì” di fatto è solo una conta. Si punta a misurare il potenziale elettorale del campo largo. Al Nazareno circolano numeri ipnotici: 10-12 milioni di votanti. Un’eco da film epico: “Giorgia, stiamo arrivando”. O l’ultima illusione.